La giustizia a Venezia; le condanne per i debitori

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Calle de Cà Erizzo a San Giovanni in Bragora. Luogo dove fino a metà dell'Ottocento esisteva il Sotoportego de la Cason - Sestiere di Castello

La giustizia a Venezia; le condanne per i debitori

Una deliberazione del Maggior Consiglio in data 19 marzo 1551 comincia con le seguenti parole: “In cadauno sestiere di questo nostro dominio si ritrova uno cason, over carcere, nelli quali si pongono i debitori et i rei di lievi colpe“.

Di questi casoni, che durarono fin quasi la metà del Seicento, la storia tramanda la località di tre soltanto: il Campiello de la Cason ai Santi Apostoli, “il loco de la Cason driedo la chiesa” a San Giovanni in Bragora, e la Corte de la Cason a San Marco “presso la Frezzeria“.

La legislazione nei primi cinque secoli dopo il mille era severa coi debitori morosi e sulla denuncia del creditore il colpevole veniva imprigionato, fosse patrizio, cittadino o plebeo, e rimaneva in carcere sempre a spese del denunziante, “pane et aqua“, finché non avesse pagato il suo debito.

Era una legge crudele specialmente per coloro che avevano ricorso al prestito per disgrazie, per malattie o per avvenimenti imprevedibili, ma per tanti altri arginava la mala consuetudine di ricorrere agli imprestiti per il divertimento e il sollazzo. E difatto lo stesso Governo aveva capito la troppa severità della legge e quando, per iniziativa di alcuni patrizi, sorse nella chiesa di San Bartolomeo, verso la metà dei cinquecento, una confraternita chiamata del Crocifisso la quale raccoglieva elemosine per soccorrere e liberare i prigionieri disgraziati “de li casoni“, la Repubblica, per incoraggiare la carità, chiedeva a papa Urbano V, la concessione di alcune indulgenze per coloro che avessero fatto l’elemosina.

Il Papa acconsentì e la confraternita del Crocifisso poté largamente proseguire nella sua opera benefica, ma quella che più concorreva a lenire i dolori e procurare anche la libertà di quella crudele prigionia erano i lasciti che nel loro testamenti facevano i ricchi patrizi e i doviziosi mercanti.

Già fin dal secolo dodicesimo Sant’Antonio di Padova aveva perorato la causa dei carcerati in quella città e qualche volta ottenuto, narra il Sagredo, “che si mandassero liberi al lavoro per sostentamento della propria famiglia i poveri detenuti per debiti allorché la perversità e la frode non fossero entrate ad altrui inganno“.

Ma la soluzione pratica fu data dai cittadini veneziani, sempre e in ogni tempo primi nel bene. I preti predicavano per le chiese, i notai la ricordavano ai testatori e della sua favorevole accoglienza fanno fede i numerosi volumi del nostro Archivio di Stato in cui sono annotati i lasciti, registrati i nomi dei carcerati degni di pietà e i mezzi più opportuni per liberarli.

Due testamenti fra i tanti citiamo oggi ad esempio: quello di un patrizio, Ermolao Valaresso, del 1457, “del confinio di Sancti Eustachii“, contrada di San Stae, e l’altro di Lorenzo De Tomasi, cittadino originario della parrocchia “de la Madonna di Santa Maria da l’orto“.

Ordina il primo: “lasso ducati sesantadue per cavar prigionieri de preson, et così lasso similmente ducati diese che cavi Antonio Spiron de preson, item ducati trenta che cavi acomo Piater detto da Ca’ Emo di prigion, item ducati sessanta sia cavadi Zan Pilotto et Marco Bossan di prigion“.

Il secondo testamento, quello di Lorenzo De Tomasi, non solo destina una somma di cento ducati “a cavar poveri prigionieri di preson, cioè di le preson de Venetia“, ma vuole ancora che altri cento ducati siano loro dati all’uscir di prigione, quando a non pochi manca ogni mezzo di sussistenza, ordinando ai suoi esecutori testamentari “et mai non li date loro se prima non li vedete discarcerati liberamente“.

Così Venezia cinque secolo or sono non solo era la prima città che praticamente s’interessava della liberazione dei disgraziati prigionieri per debiti, ma fu anche la prima che pensasse all’avvenire dei liberati dal carcere, problema che solo oggi si comincia a studiare. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 8 giugno 1930.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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