La giustizia a Venezia; le condanne degli eretici

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Magistrati veneziani. Sala dei Censori, Palazzo Ducale

La giustizia a Venezia; le condanne degli eretici

il 26 agosto 1520 si presentava dinanzi al Collegio il vicario del Patriarca, Antonio Contarini, mostrando un breve del papa Leone X contro Lutero e le sue opere e chiedendo licenza di poter mandare in casa di tale Giordano tedesco, libraio a San Maurizio, a sequestrare parecchi libri eretici venuti di Germania per la vendita. Il Collegio acconsentì e fu incaricato della bisogna messer Tommaso de Freschi, segretario del Consiglio dei Dieci, ma ormai quasi tutti i libri erano collocati e lo stesso Marin Sanudo confessa nei suoi Diariio ne avria avuta una bella copia et la tengo ora nel mio studio“.

Intanto che il patriarca con grande apparecchio di chierici e di torce abbruciava i pochi libri trovati, sul piazzale del Ponte di San Domenico a Castello, ponte oggi distrutto, predicava in Campo San Stefano, con gran concorso di popolo, frate Andrea da Ferrara e “disendo mal del papa et della corte romana“.

Questa volta lo stesso Nunzio apostolico, Aleandro Girolamo, andò in Collegio a lagnarsi chiedendo la punizione di frate Andrea, ma ormai il Consiglio dei Dieci lo aveva già fatto partire e la Signoria promise subito di punirlo qualora fosse ritornato.

Così la Repubblica cedeva volentieri nella forma e soddisfaceva con le parole, pur mantenendo intatto il suo diritto e libera l’azione.

Il sentimento religioso fu sempre profondo nei Veneziani e sempre venne manifestato in ogni forma esteriore, specialmente nelle sue feste in cui all’amore della patria si univa la fede, ma essendo la Repubblica uno stato eminentemente commerciale aveva quale principio uno speciale riguardo alla libertà di coscienza. E ben lo sapeva il cardinale Farnese che rispondeva alle lagnanze di Clemente VII sulla grande indulgenza del governo veneto: “Santo Padre, quelli signori, governano il loro Stato con la regola di stato e non con quella dello officio dell’inquisizione, perché sibene si deve aver l’occhio sincero alla religione, si deve perciò averlo anche ad altro“.

In conseguenza appunto di questo principio la Serenissima accogliendo l’inquisizione lo fece soltanto a condizioni restrittive e con la continua sorveglianza dei suoi magistrati, che dovevano assistere ai processi nei quali quasi sempre era possibile la tortura.

E così il nobilomo Francesco Barozzi, accusato di apostasia, stregheria, seduzione e recalcitrante ad ogni ammonimento, confessando tutto al processo, dichiarò di tutto ritrarre perché gli fosse lasciata la vita e non gli venissero confiscati i beni. Difatti se la passò con sette mesi di carcere, col pagamento di cento ducati per fare due crocefissi d’argento e con l’obbligo di dire alcune preghiere in certi giorni stabiliti nella Chiesa di San Marco. In un altro paese il Barozzi sarebbe morto tra “fuochi et fiame et salmodiar di frati“.

Così fu di Girolamo Galateo, frate dell’ordine di San Francesco e maestro di teologia a Padova, imputato di eresia ed autore di libri eretici, il quale fu dal vescovo di Chieti Giampietro Caraffa condannato nel 1531, dopo tre anni di carcere preventivo, “che ‘l sia degradado in chiesa san Marco per il patriarca fo messo in preson perpetua“. La sentenza non fu approvata dal Consiglio dei Dieci ed il vescovo, che allora risiedeva a Venezia, fu chiamato “in camera dil Serenissimo dove haveva li conscieri et cai di diese et per il Serenissimo li fo ditto suspender la deliberation di fra Hironimo Galateo per bon rispetto, et questa“, commenta il Sanuto, “fo optima et bona deliberation“. Il povero Galateo per salute malferma e per le sofferenze del carcere morì ancor giovane nel 1540 e monsignor Caraffa non lo volle sepolto in terra benedetta, ma lo fece trasportare al Lido fra gli acattolici.

In venti anni, dal 1545 a tutto il 1564 furono circa settanta i processi religiosi compresi quelli delle Province; di questi, venti vennero sospesi mentre negli altri le condanne furono di multa o bando, pochissime di carcere temporaneo, una di galera, una di morte e questa forse perché c’entrava il sospetto di tradimento. A Venezia dunque niente roghi e niente fiamme; gli Inquisitori furono sempre tenuti negli stretti limiti della legge, e rimproverati e qualche volta puniti di ogni azione arbitraria commessa. La Repubblica non conobbe mai lo spirito di persecuzione religiosa. (1)

Ma le cose non andarono esattamente così, solo che al fuoco dei pubblici roghi la Serenissima preferiva l’acqua delle sue silenziose e solitarie lagune, per sentenziare gli eretici. Così l’umanista milanese Publio Francesco Spinola eretico relapso, dopo aver subito lunga carcerazione, fu annegato in silenzio nella laguna nella notte del 31 gennaio 1567, nonostante l’insistenza con cui da parte del nunzio apostolico a Venezia Giovanni Antonio Facchinetti si richiese che egli fosse bruciato in pubblico.

Nella prima metà del Cinquecento seguirono altre silenziose sparizioni: Baldo Lupatino nato ad Albona, già condannato a morte mediante decapitazione con successivo rogo del cadavere, fu annegato invece in laguna “di modo ch’esso fra Baldo se habbia totalmente da annegare et affogar dentro al detto mare et così terminar la sua vita“, nell’agosto 1556, dopo aver subito una lunghissima carcerazione. Ad una sorte identica andò incontro anche Bartolomeo Fonzio, dei frati minori conventuali, eccellente predicatore, il quale accusato di eresia sin dal 1530, fu annegato nella laguna il 4 agosto 1562, sine sonitu et sine strepitu.

Ad un identico supplizio, per volontà dei governanti veneziani, andarono incontro gli anabattisti incappati nella rete dell’inquisizione di Venezia: le acque della laguna veneziana inghiottirono, silenziosamente, uno dopo l’altro, Giulio Gherlandi (15 ottobre 1562) lanternaio da Spresiano, Antonio Rizzetto (17 febbraio 1565) piccolo proprietario terriero vicentino e Francesco della Sega (26 febbraio 1565) studente di legge in Padova, e alla stessa sorte andò incontro molto probabilmente (nel 1570) anche Gian Giorgio Patrizi nobile da Cherso. (2)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO ILLUSTRATO, 5 ottobre 1924.

(2) Daniele Santarelli. Eresia, Riforma e Inquisizione nella Repubblica di Venezia del Cinquecento

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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