La famiglia e il palazzo Arian, all’Angelo Raffaele, nel Sestiere di Dorsoduro

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2019
Palazzo Arian (Minotto) in Fondamenta Briati all'Angelo Raffaele nel Sestiere di Dorsoduro

La famiglia e il palazzo Arian, all’Angelo Raffaele, nel Sestiere di Dorsoduro

E’ un errore che si ripete anche oggi quello di chiamare il palazzo Arian, palazzo Arian Minotto, mentre si dovrebbe chiamare palazzo Arian Pasqualigo non essendo mai i Minotto proprietari dell’edificio. Essi abitavano invece in un palazzotto vicino, attualmente anagrafico numero 2365 dove ha sede un piccolo istituto di monache filippine.

Il palazzo Arian sorge sulla Fondamenta Briati nella parrocchia dell’Angelo Raffaele, di stile archiacuto della prima metà del Trecento conserva uno dei primi e più interessanti esempi di finestrati gotici veneziani, ispirato alla tradizione ornamentale d’Oriente, ed ha un ampio cortile nel suo interno e la caratteristica scala scoperta.

Sbaglia lo Zanotto tanto nell’opera “Venezia e le sue Lagune” attribuendo la fondazione del palazzo ai Foscari, quanto nella sua “Nuovissima Guida di Venezia” dicendolo fabbricato dai Guoro, poiché narrano le cronache del tempo che i fondatori furono gli Arian, famiglia ricchissima venuta dall’Istria, la quale fece costruire anche la chiesa “dell’Anzolo” quando un Marco Arian era capo contrada. La famiglia anticamente apparteneva al Maggior Consiglio, ma poscia ne rimase esclusa e non furono estranei alcuni brogli fraudolenti commessi da un Antonio quondam Nicolò, morto nel 1363. Antonio Arian per vendicarsi di quella punizione che egli chiamava ingiustizia, con suo testamento in data 1 luglio 1361 in atti di prete Marco Rana della chiesa dei Carmini, ordinò ai suoi figli di non contrarre matrimonio con nobili veneziane minacciando la sua maledizione e la privazione assoluta di qualsiasi eredità.

Ciò nonostante un suo figlio Marco tentò di acquistare i perduti privilegi nobiliari e d’accordo col fratello Buono elargì alla Repubblica grandi somme nel 1379, durante la terribile guerra di Chioggia contro i Genovesi, ma nulla ottenne e tanto fu il suo dolore per quello smacco che abbandonata la moglie, una Lucrezia Sabbioni si fece frate in un convento di piene clausura nel ducato di Ferrara.

Altri tentativi furono fatti per riacquistare la nobiltà ma furono tutti infruttuosi e la famiglia, rimasta sempre cittadina, si estinse nel febbraio 1647, qualche mese prima che la Repubblica, per sopperire alle spese della guerra di Candia, decretasse l’ammissione al veneto patriziato di quelle famiglie cittadine che avessero dato all’erario centomila ducati, di cui sessantamila in dono e il rimanente a prestito.

L’ultimo degli Arian, un tale Giacomo con suo testamento fatto nel novembre 1630 presso il notaio Bernardo Malcavazza, lasciò erede suo nipote, il patrizio Vincenzo Pasqualigo, di tutti i suoi beni e anche “della soa casa grande di san Raffael“. Così il palazzo passò dagli Arian ai Pasqualigo e il primo abitante fu il nobilomo Vincenzo che affittò l’orto che si estendeva lungo la Calle Briani al “signor di Guastalla, piciola terra tra Mantova e Parma, per annui ducati trecentocinquanta“. Nel 1738 un Andrea Pasqualigo si uccise, e non si seppe mai la causa, nel cortile del palazzo, e forse fu questa la cagione per cui il fratello Piero si trasferì nella casa avita a Santa Maria Formosa lasciando deserto il vecchio palazzo degli Arian.

I Pasqualigo, sebbene non lo abitassero, continuarono a possederlo e fu soltanto nel 1769 che Laura Pasqualigo del fu Giorgio, vedova di Vincenzo Gradenigo, con suo testamento in atti del notaio Domenico Zuccoli, lo lasciò ai reverendi Antonio e Carlo Pasinetti, preti della chiesa di Santa Maria del Carmelo, vulgo dei Carmini.

I nuovi proprietari del magnifico palazzo alla loro volta lo affittarono e poi ne vendettero un piano a tale Lucia Cicogna, monaca benedettina, la quale pur essendo di famiglia cittadina, aveva la mania di volersi credere nobildonna e aveva fatto dipingere dappertutto lo stemma dei patrizi Cicogna che trasse poi in errore il Selvatico quando nella sua “Architettura e Scoltura in Venezia” chiamò erroneamente l’edificio “palazzo Cicogna“. La Cicogna tenne per vari anni un collegio d’educazione femminile e dopo la sua morte nuovi eredi subentrarono nel piano a lei appartenuto, finché il Comune di Venezia acquistò per suo conto tutto il palazzo riducendolo ad uso di pubbliche scuole.

Il vecchio palazzo degli Arian non conobbe né grandi feste né sontuosi banchetti, visse modestamente quasi fuori della vita veneziana nel lontano e silenzioso quartiere dell’Angelo Raffaele. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 21 agosto 1929

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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