I Capi Contrada di Venezia

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Campo Santi Apostoli - Sestiere di Cannaregio

I Capi Contrada di Venezia

Anticamente a Venezia i capi contrada “capita contractarum“, erano scelti tra i patrizi, e difatti in un vecchio documento dell’agosto 1192 del doge Enrico Dandolo si trova che un Tomaso Falier, della nobile famiglia originaria di Fano, era capo contrada a San Pantaleone, ma quando furono istituiti i “Signori di notte al criminale“, e ciò avvenne nel 1250, i capi contrada vennero tratti dal popolo con incarichi più ristretti.

In origine questa specie di magistrati stradali attendevano al buon ordine della contrada, vigilavano i forestieri, conservavano gli attrezzi, come scale, mannaie, secchie, per estinguere gli incendi, tenevano l’elenco dei cittadini atti alle armi, dai venti ai sessant’anni, dividendoli in gruppi di dodici, detti perciò “duodene” (dodici dita), e sorvegliavano che ogni milite avesse in casa la propria armatura e le proprie armi. Con la creazione dei Signori di Notte, gelosi conservatori del buon costume, che avevano potere legislativo ed esecutivo, le funzioni dei capi contrada vennero ridotte di molto; non più ingerenze nelle cose militari, non più sorveglianza sulle armi, non più custodia degli arnesi contro il fuoco; quei benedetti Signori di Notte li avevano detronizzati e a loro soli aspettava vigilare sul contegno dei servi, dei domestici, delle balie, punirne la vita licenziosa, fossero liberi o chiavi, e siccome questi ultimi erano quasi, un oggetto di lusso e ne avevano perfino le monache nei monasteri, così promettevano, con una loro legge approvata dal Senato, libertà completa a quella schiava che avesse svelato qualche fatto d’incontinenza della padrona monaca nel convento.

Eppure i capi contrada avevano avuto un bel passato: fondamento del sistema tributario immobiliare era l’imposta di estimo, come di quello mobiliare e mercantile era il dazio, e fin dal 1207, in un documento del doge Piero Ziani, si ha notizia di un estimo, mediante il concorso e l’aiuto dei capi contrada, e allora prestavano giuramento come pubblici ufficiali; giuramenti raccolti oggi nella miscellanea degli atti diplomatici nel nostro Archivio di Stato.

Zuro alle vangele sante de Dio es, che sum cavo (capo) de mia contrata” e prometteva poi con quel giuramento di essere sempre fedele alla Serenissima, di obbedire in tutto e per tutto, di fare sempre ogni giorno, ogni ora, il proprio dovere e di essere pronti di dare la propria vita per l’evangelista San Marco. Così giuravano nei primi tempi quei capi contrada che nel Cinquecento erano ridotti a sorvegliare i pozzi, ad avere cura dei ponti e a riportare al segretario del Consiglio dei Dieci tutto quello che si sapeva o si diceva nella contrada.

Ed era quest’ultima la principale funzione del loro mestiere ridotto agli estremi, come quell’Alvise Bon, capo contrada a Santa Margherita che quasi giornalmente raccontava al paziente segretario tutto ciò che accadeva tra gli irrequieti patrizi barnabotti, le loro beghe, le loro speranze di vendetta contro i ricchi, le loro piccole, innocue, ridicole congiure.

Nel 1721 il capo contrada dei Santi Apostoli tale Marco Bellemo, “calegher in calle de li Proverbi“, fu quello che dette nelle mani della giustizia Pierantonio Toffolo, sarto in Calle della Pegola a Santa Sofia, d’anni trenta, ma capo di una banda di ladri che di notte andava rubando per le chiese. Il Toffolo che nella parrocchia passava per un onesto lavoratore, era per gravi sospetti tenuto d’occhio dal capo contrada, il quale, poco convinto che quella vita fosse cos’ regolare come appariva, lo aveva per due notti seguito segretamente a San Gregorio, a San Marziale e ai Tolentini dove alla mattina si erano nelle chiese scoperti dei furti. Raccontati i suoi sospetti al Consiglio dei Dieci, il sarto venne arrestato, minacciato di tortura agli confessò ogni cosa e tra le due colonne morì sulla forca, mentre al Bellemo erano offerti in regalo dieci ducati.

Caduta la Repubblica il capo contrada si modificò in paggio, e oltre alla sorveglianza dei pubblici pozzi, divenne sotto la dominazione straniera un confidente della polizia: lasciati i delitti s’interessò allora di politica e diligentemente fiutate le faccende dei privati cittadini correva a farle note all’imperiale regio commissario che lo ricompensava con qualche fiorino.

Un vecchio adagio veneziano suona anche oggi: “Parer el capo de contrada” per indicare una persona che vuol sapere tutto, che spia i fatti del prossimo, maldicente e malevole, e che a corto di notizie qualche volta le inventa. Il capo contrada degli ultimi tempi è scomparso; fece capolino un’ultima volta nelle scene “Serve al pozzo” di Giacinto Gallina, ma l’ambiente pettegolo veneziano vive tuttora come una tradizione storica dei giorni passati. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 5 ottobre 1933

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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