Il primo giorno dell’anno veneziano, il 25 marzo, ab Incarnatione Domini

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Jacopo e Domenico Tintoretto. Annunciazione. Scuola Grande di San Rocco (foto dalla rete)

Il primo giorno dell’anno veneziano, il 25 marzo, ab Incarnatione Domini

Il primo gennaio non era il capo d’anno dei veneziani, era bensì giorno di festa poiché non solo si commemorava la Circoncisione di Nostro Signore in molte chiese della città, ma nella chiesa di San Marco si esponeva anche alla adorazione dei fedeli il Santissimo Sacramento e l’esposizione durava tre giorni.

Scendeva nel tempio Marciano, verso l’ora di nona, sua Serenità con il solito corteo e dinanzi all’altar maggiore sul quale splendeva la famosa Pala d’oro, tutto illuminato da numerosi ceri posti sui ricchi candelabri d’argento, stava il principe genuflesso in adorazione dell’ostia consacrata. La preghiera del doge durava circa mezz’ora, poi il corteo rientrava in Palazzo Ducale accompagnato dal Primicerio e dai Canonici ducali fino alla Scala d’oro, mentre nel vasto cortile squillavano le trombe d’argento e le guardie Dalmate rendevano il saluto militare.

Nel pomeriggio di quel giorno si radunava il Maggior Consiglio per ottemperare ad un lascito del “nobilomoGirolamo Cavazza della contrada di Santa Marina, ultimo rampollo del suo casato, defunto il giorno otto maggio 1682. Aveva il patrizio disposto nel suo legato che ogni anno, nel primo gennaio, si dovessero estrarre a sorte i nomi di trentasei patrizi ai quali egli destinava come omaggio dodici ducati d’oro ciascuno, e la curiosa seduta, senza preoccupazioni politiche, metteva una nota lieta e spensierata in tutto il Consiglio che seguiva lo strano sorteggio con parole e con schermi a volta ironici a volta allegri.

Terminata l’estrazione i beneficati conducevano nel Settecento gli amici nella famosa malvasia del “Rimedio” nella contrada di Santa Maria Formosa, dove s’intrattenevano a bere il prelibato vino proveniente dalla Morea, inzuppando ciambelle e biscottini, tra le chiacchiere gioconde e qualche rapida partita di “bassetta“.

Ma, come dicemmo, il primo gennaio non era, fin dai tempi più antichi il primo giorno dell’anno veneziano, poiché l’anno veneto aveva il suo cominciamento “ab Incarnatione” cioè dal dì ottavo alle calende di Aprile, ossia dal 25 marzo, giorno in cui il Salvatore, per miracolo divino, narrano le storie cristiane, “si incarnò nell’utero della Beata Vergine Annunziata“.

Dice il Gallicciolli nelle sue “Memorie Venete antiche, profane ed ecclesiastiche” che i nostri padri “vollero dedicare alla Religione il primo giorno del loro anno, a mettersi sotto gli auspici di Maria Annunziata di cui in quel giorno per vecchia costumanza celebravasi la festa nella chiesa Cristiana“. E così sotto la protezione dell’Annunciazione, il più grande miracolo della credenza cristiana, vollero i veneziani cominciare il loro nuovo anno, e si principiò fin dal secolo ottavo a chiamare gli anni veneziani, nei loro rapporti mercantili con gli altri popoli “anno ab Incarnatione“, e più tardi “More veneto“, secondo l’uso veneto, che rimase poi fino la caduta della Repubblica.

L’anno quindi della Serenissima cominciava il 25 di marzo sotto la protezione dell’Annunziata, poetica rievocazione di questo popolo di navigatori che traeva dalla poesia dell’anima e dalle leggende di Cristo le sue tradizioni più nobili e più belle.

Nella seconda metà del Cinquecento, il 25 di marzo, non solo era festa di chiesa ma anche festa di Palazzo; il doge ascoltava nel mattino la Messa e nel pomeriggio nel suo “appartamento d’onore” dove nella “Sala dello Scudo“, così chiamata perché vi era esposto lo Scudo con l’arma del doge in carica, riceveva le alte magistrature per gli omaggi e gli auguri annuali, e la piccola cerimonia quasi sempre finiva con un lauto rinfresco nella “Sala Grimani“.

Così finiva il primo giorno dell’anno veneto, ma vi era ancora a Venezia l’anno che per solito era chiamato dei Magistrati o l’anno “Civil Collegiale” e principiava dal giorno di San Michele, il 29 settembre, in cui venivano elette le nuove Magistrature come i Signori di notte, i Savi alla mercanzia, quelli alla scrittura, del Consiglio, della Terraferma, i Magistrati contro la bestemmia, quelli del Sale, alla Sanità, alle Pompe, e tutti gli altri che coprivano cariche temporanee.

Era una gran giornata quella in cui le piccole e le grandi ambizioni correvano a gara per avere un posto ufficiale, e nel Seicento e Settecento per la Piazza di San Marco e nel cortile del Palazzo Ducale era “un gran calar di stola“, un raccomandarsi umile per ottenere qualche bel posto d’onore specialmente dai nuovi patrizi. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 1 gennaio 1933

FOTO: dalla rete. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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