La leggenda del campanile di San Paterniano

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Campo Manin. Sestiere di San Marco

La leggenda del campanile di San Paterniano

Il 10 luglio 1651 nelle acque di Paro, una delle isola Cicladi nell’arcipelago greco, due armate si trovavano a fronte schierate a battaglia; la veneziana comandata da Luigi Tommaso Mocenigo, la turca dal famoso Mustafà il rinnegato friulano, passato agli ordini della Turchia.

Un’ora dopo l’altra, le due squadre aprirono il combattimento, combattimento feroce, terribile, eroico specialmente per i veneziani inferiori di navi, ma superiori per fede, per coraggio per volontà di vittoria. E la vittoria in quel giorno arrise a San Marco; furono fatte prigioniere parecchie navi turche, uccisi negli arrembaggi gran numero di nemici, tolte molte bandiere, trofei, cannoni ed armi, e mentre i gonfaloni caudati dell’Evangelista sventolavano superbi al sole sulle alte antenne, le bandiere con la Mezzaluna erano trascinate nelle acque appese alla poppa delle navi vittoriose.

La notizia, giunta a Venezia mentre il Maggior Consiglio stava radunato, venne accolta con un subisso di applausi e di grida festose, la seduta fu subito sospesa e il doge Francesco Molin con le alte magistrature scese nella chiesa di San Marco e in mezzo a una gran folla di popolo si cantò il Te Deum in segno di ringraziamento.

Quel giorno era sacro a San Paterniano, e il Collegio decise che ogni anno a ricordo di quella vittoria, i musici e i cantori della Basilica ducale di San Marco si dovessero recare alla chiesa dedicata a quel santo per cantare una messa solenne ad onore del Vescovo martire. Era quel giorno per la contrada festa solenne che cominciava con l’aurora; il campanile “scampanava” a distesa, sul campo e sulle strade della parrocchia si alzavano i banchi dei venditori di ciambelle, di frutta, di dolci, di marzapani, le botteghe mettevano festoni di fiori, e di erbe un po’ dappertutto e dalle finestre delle case pendevano arazzi, drappi d’oro e bandiere.

La chiesa di San Paterniano era antichissima; dalla Marca di Ancona veniva nel secolo ottavo trasportata a Venezia l’immagine dipinta del Vescovo che aveva subito il martirio e la famiglia Andrearda, ricchissimi mercanti, le costruiva sul campo una piccola cappella di legno. Ebbe il santuario, per qualche miracolo fatto, elemosine in gran copia e nel 959 il doge Pietro Candiano quarto lo dotò di parecchi beni stabili, tanto che presto sorse in suo luogo una bella chiesa in muratura, sopra una parte dell’area dove oggi s’innalza la “Cassa di Risparmio” e accanto alla chiesa si elevò il caratteristico campanile ottagono a forma di torre, raro cimelio del mille.

La leggenda narra che questo campanile venisse costruito da otto mercanti veneziani, i quali fatti prigionieri dai Saraceni, poterono fuggire dalla terribile schiavitù e raccolti da una galera veneziana ritornarono in patria dove edificarono al santo loro protettore, San Paternian, il campanile ottagono, un lato per ciascuno. Ad avvalorare la vecchia leggenda, scrive una cronaca anonima, era tradizione che dal campanile di San Paternian, venissero nei giovedì di ogni settimana, un’ora prima del tramonto suonate a distesa tutte le campane, e poi la campana maggiore squillava otto colpi brevissimi intervalli. Era quel segnale, si diceva, a ricordo degli antichi otto mercanti che avevano costruito il caratteristico campanile.

Un codice del Cicogna, conservato nel nostro Museo Correr, racconta che il 26 marzo del 1562 s’impiccava “in campanile sancti Paterniani” il giovane sagrista della chiesa, per dispiaceri d’amore con la bella cittadina Costanza Cottoni abitante a Santa Sofia in campo dell’Erba.

Vicino alla chiesa di San Paternian avevano le loro botteghe “di stampadori” i famosi Aldi, il cui capo Aldo Manuzio fu insigne per dottrina e per la celebre tipografia da lui stesso diretta. Egli morì nel 1515 ed ebbe i funerali nella chiesa di San Paternian, dove accanto al feretro, narra Marin Sanudo nei suoi Diari, “fo posto molti libri attorno“. La chiesa venne chiusa nel 1810, e nel 1871 chiesa e campanile furono completamente distrutti. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 10 luglio 1932 .

FOTO: Alfonso Bussolin e Wikipedia. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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