La giustizia di Venezia: le prigioni dei Camerlenghi

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Palazzo dei Camerlenghi. Sestiere di San Polo

La giustizia di Venezia: le prigioni dei Camerlenghi

A destra di chi scende il Ponte di Rialto verso l’Erberia, sorge il palazzo dei Camerlenghi, che erano i tre ministri del tesoro della Repubblica, palazzo compiuto nel 1525 nella stile del Rinascimento tutto incrostato di pietra d’Istria e che si attribuisce al celebre architetto Guglielmo Bergamasco. Nel pianterreno, dalla parte del Canal Grande, alcune piccole stanze munite anche oggi di grosse inferriate erano destinate nel 1570 “qual preson de li debitori a somiglianza dei Cason ovvero carcere qual si trova in cadauno sestiere di questa città“.

Nel 1572 era rinchiuso nelle prigioni dei Camerlenghi un tale Teodoro Bianchi su querela del patrizio Piero Corner di San Cassan, il quale, avendogli prestato cento ducati per un certo affare e non ricevendone la restituzione, lo aveva fatto imprigionare. Però la querela del patrizio non diceva che egli amante della bella Agnese, moglie del Bianchi, era ricorso a quell’espediente per togliersi d’attorno la seccatura di quel marito importuno e geloso. Teodoro, durante la sua prigionia, seppe del tradimento della moglie, prima da un suo parente e poi quale testimonio di veduta.

Nel pomeriggio del 2 agosto il caldo nella prigione era soffocante e il povero Bianchi in cerca di un po’ d’aria stava arrampicato all’inferriata e guardava, quasi con refrigerio, l’acqua Canalazzo, quando vide passare in gondola sua moglie Agnese e riconobbe la gondola per una di quelle di ca’ Corner di San Cassan, con in poppa il vecchio barcaiolo Anzolo, servitore di sier Piero. Giurò subito vendetta, e nella notte del 5 settembre aiutato da un parente, quello stesso che lo aveva informata della sua disgrazia, riuscì ad aprire la porta della prigione e darsi alla fuga.

Giunto a San Zanipolo, dov’era la sua abitazione, si nascose dietro la chiesa, conoscendo, e, per le confidenze avute, le abitudini del Corner, attese la coppia al varco. Verso l’alba vide uscire il patrizio dalla sua casa accompagnato fino alla porta dall’Agnese e allora gli si fece avanti minaccioso, dicendo: “Havè ben riposà sier Corner?“. Il patrizio allibì ma tosto rispose: “Va con Dio! Ti è fuzido et mi te saldo el debito“. Ma Teodoro furente replicò: “El saldo ve lo fazo mi, nobilomo baron!” e con un fusetto gli diede una terribile coltellata nel ventre.

Il ferito mandò un grido e cadde. Corse gente, ma ormai il Bianchi era fuggito e sier Corner, trasportato nel convento dei frati domenicani di San Zanipolo, moriva poco dopo. Teodoro venne bandito in perpetuo con “taia grossa de mille ducati” e la bella Agnese, causa di tutto, fu relegata per dieci anni nel convento delllo Spirito Santo presso Cittanova nell’Istria. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 13 marzo 1927

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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