Lo spregio di dare “la pegola a le porte de le case”, nella Venezia del Cinquecento

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Palazzo Tron a San Beneto. Sestiere di San Marco

Lo spregio di dare “la pegola a le porte de le case”, nella Venezia del Cinquecento

Nel Cinquecento il dileggio, lo scherno, la sfacciata insolenza dilagavano nella città delle lagune, non bastava la satira stampata e manoscritta ma si andavano cantando per le vie, scrive il Sanudocosse dishoneste et vituperose“. E i canti satirici e i fogli dileggiatori si traducevano in atto in beffe oscene e sfregi oltraggiosi che mettevano a nudo certi scandali femminili di cui, tra la corruzione del costume, non vi era davvero penuria.

Tra gli scherni più atroci che intaccavano l’onore e l’onestà delle famiglie era “el dar la pegola (pece) a le porte de le case” indicando con quella imbrattatura che colà abitavano donne disoneste “et mala fama” e nella prima metà del secolo decimosesto la beffa triviale venne spesso attuata nonostante le severi leggi del Consiglio dei Dieci.

Lo scherno scurrile risaliva al 1496 quando per la prima volta comparve a Venezia il “morbo gallico“, contemporaneo alla discesa di Carlo VIII in Italia, e il popolo veneziano chiamava fin d’allora i colpiti dalla brutta malattia “li impegolati” e la malattia stessa chiamava “pegola” per la sua tenacia e resistenza a qualsiasi rimedio.

Tra i parecchi fatti che raccontano le cronache sanudiane due principalmente destarono rumore a Venezia poiché se ne scoperse gli autori che vennero condannati senza misericordia, volendo il Consiglio dei Dieci estirpare quel Malanno diffamatorio che metteva lo scompiglio nelle famiglie.

La mattina del 4 marzo 1522 si trovarono bruttate di pece le porte delle case di Marcantonio Venier, di Andrea Diedo, di Niccolò Tron e di Antonio Cappello. Doveva esser stata una notte di gran lavoro poiché si andava dalle case dei Venier in campo Santa Maria Formosa fino alla casa dei Diedo a San Simeone Piccolo, dalle case dei Tron a San Beneto a quelle dei Cappello nella contrada di San Leonardo. Il Venier, senatore e cavaliere, mosse nella stessa mattinata querela al Consiglio dei Dieci ricordando l’esempio del doge Antonio Venier, suo antenato, il quale nel 1382, aveva fatto morire in prigione un suo figliolo che aveva offeso un gentiluomo di un consimile insulto.

Era il gentiluomo tale Giovanni Dalle Boccole il quale una brutta mattina vide appese alla porta di casa “duo para di corni” e una turpe scritta verso la moglie e la sorella; scoperto autore Luigi Venier, figlio del doge, venne punito con due mesi di carcere Forte, e caduto ammalato dovette morire in prigione senza che il padre facesse un solo passo per liberarlo.

Così parlò sier Marcantonio Venier e il Consiglio pubblicò subito una taglia di cinquecento ducati a favore di chi scoprisse il colpevole. Due giorni dopo il mistero era svelato: “un tale Zuane, barcaruol al traghetto di santa Maria Zobenigo” denunciò di aver condotta nei luoghi oltraggiati la nobildonna Marietta Caravello, moglie di ser Gasparo Moro della contrada di San Fantin; essa era smontata dalla gondola quattro volte “con una schiava qual portava una pignata et uno scovolo et era odor di pegola“.

Si ordinò subito l’arresto della patrizia ma essa era già fuggita; dal processo risultò che la Caravello aveva voluto con tale offesa volgare vendicarsi delle spose dei patrizi le quali avevano rifiutato di accompagnarla ad una festa in casa di sier Marco Grimani. La Marietta fu bandita per dieci anni da Venezia.

Il 27 dicembre 1529 Marin Sanudo racconta: “E’ da saper che l’altra note fo dà la pegola, da terra e da riva, a la moier di sier Iacomo da cha’ Taiapiera quondam sier Zuane a santa Fosca, apresso el ponte Noal, fo fia di sier Marco Griti quondam sier Luca; suo marito è falido et sta a Padoa. La qual, si ben ha mala fama, è da farne provision a tal cosa“. E difatti il Consiglio, scoperto il colpevole nel giovane patrizio Candian Bollani della contrada di San Trovaso, lo condannava “a star serado” tre mesi nella prigion Orba e a duecento ducati di multa. Il Bollani si era voluto vendicare perché amante tradito dalla bella Tagliapietra.

Così tentavano i Dieci di porre un argine all’atroce scherno diffamatorio, ma per due condannati, venti sfuggivano alla giustizia e solo col tempo, verso la fine del Cinquecento, il triviale dileggio cadde in disuso. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 14 settembre 1930.

Da sinistra a destra: Palazzo Tron a San Beneto sul Canal Grande, Palazzo Diedo a San Simeon Piccolo sul Canal Grande, Palazzo Venier a Santa Maria Formosa.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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