Le zecche e le monete veneziane

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La Zecca

Le zecche e le monete veneziane

Quando verso l’ottocentocinquanta Rialto divenne il grande emporio commerciale delle isole che formavano Venezia, la Repubblica pensò al diritto di batter moneta propria, la più alta espressione di sovranità, e così volle avere una sua zecca che sorse a San Bartolomeo dove fu stampato il primo denaro veneziano d’argento o la famosa “redonda d’oro” che valeva circa sessanta denari.

Il vasto edificio sorgeva sulla Fondamenta del Ferro, attiguo al Ponte di Rialto, e appunto dalla zecca la fondamenta era chiamata allora della Moneta come si legge in alcuni documenti, con i quali si stabiliva che nessun cittadino fosse ammesso come operaio nella pubblica zecca se non era arsenalotto, iscritto nei ruoli e figlio dell’arsenale.

Il casamento della vecchia zecca a San Bartolomeo minacciando rovina, fu venduto nel 1112 dal doge Ordelafo Falier e sorsero allora sparse per la città alcune officine meno importanti per battere moneta, come quella a San Giovanni e Paolovicina a l’ospedaletto in una casa su cui era san Marco in piera viva“, dove si coniavano piccole monete chiamate “li Bagatini di rame“.

Solo nelle cronache del 1200 si trova menzione di una nuova grande officina “ad monetam“, che nel 1277 si sa per certo sorgeva a San Marco, vicino alla sede del Governo e la cui suprema vigilanza era dapprima affidata al Maggior Consiglio e al Doge con la Signoria; poi nel secolo decimoquinto soltanto al Consiglio dei Dieci e finalmente nel Cinquecento al Senato o Pregadi. La nuova zecca aveva preposti speciali come “li massari over estimatori a li ori et arzenti, li proveditori, li oficiali alla foglia d’oro, li deputati alla provisione dil danaro” e altri ufficiali minori addetti alla lavorazione e alla vigilanza sui metalli nobili.

All’aprirsi del Quattrocento la zecca di Venezia coniava già un milione di zecchini d’oro, duecentomila monete d’argento, ottocentomila soldi grossi pure d’argento e la moneta veneziana circolava per l’Europa intera, anzi alcuni tipi delle sue monete, esempio il celebre zecchino, erano usati perfino nell’Estremo Oriente. Essa aveva fra gli stampatori di moneta artefici eccellenti, come, nel 1308, Giovanni Albizointagliator di la stampa“, e maestri del conio i Da Sesto, orafi insigni, e sotto il dogado di Cristoforo Moro ebbe quale “mistro di zeccaAntonello Veneziano, illustre autore della magnifica medaglia del doge allora regnante.

Ma la sede della zecca di Venezia assunse il suo più grande splendore nel 1535 quando per invito del Senato, Jacopo Sansovino presentò il suo progetto per una fabbrica adatta tanto alle officine di conio, di controllo e di fusione quanto alla custodia del Tesoro monetario; la costruzione sansoviniana fu accettata e sorse così sul molo l’edificio di severo massiccio concetto classico, ben rispondente all’ufficio geloso a cui doveva servire.

A pianterreno si aprivano le varie officine e il vasto cortile centrale con la sua superba “vera da pozzo“, opera dello stesso Sansovino, e adorna della statua di Apollo e altre sculture di Danese Cattaneo; al piano superiore stavano alcuni edifici, i disegnatori, gli incisori e la famosa “cella” dalle grandi casse ferrate dov’era depositato il Tesoro della Repubblica.

La fonderia della zecca “dove se purga e se raffina l’oro inserviente al conio” era contigua alla Cavallerizza dietro la chiesa di San Giovanni e Paolo e colà pure esistevano le case dei Rizzo e del Premuda, i due capi fonditori nel 1600. Quivi, in Barbaria de le Tole, una scala e una vera da pozzo sono il solo ricordo della fonderia e della purga dell’oro.

La più bella moneta che uscì dalla nostra zecca, per la finezza del conio e per la purezza dell’oro fu lo “zecchino“, tanto che nel 1608 un decreto del Senato volendo far stampare cinquantamila ducati d’oro prescrive: “sieno della istessa finezza et bontà dil stampo del Cecchino et cento di essi sieno dello istesso peso e valore che sono sessantadue Cecchini“.

Nella raccolta numismatica del nostro Museo Correr si trova anche la serie completa degli zecchini dal 1311 al 1792, e si ha l’idea di ciò che fu la monetazione della gloriosa Repubblica, diffusa in tutti i mercati del mondo, così che nel Quattrocento il doge Tomaso Mocenigo affermava potersi Venezia considerare padrona di tutto l’oro della Cristianità. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 15 gennaio 1931.

Da sinistra a destra: ingresso della Biblioteca Marciana (già della Zecca), Bertuccio Valier quarto di zecchino, Marco Foscarini ducato, ingresso della Biblioteca Marciana (già della Zecca), Bertuccio Valier doppia d’oro, Alvise Pisani quarto di zecchino e ducato, la Zecca verso il Molo, la Zecca verso i Giardini ex Reali, Carlo Contarini mezzo ducato (62 soldi), Ludovico Manin multiplo di zecchino (8 zecchini), Domenico Contarini.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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