La famiglia e il palazzo Benedetti, in contrada di Santa Sofia, nel Sestiere di Cannaregio

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Palazzo Benedetti a Santa Sofia. Sestiere di Cannaregio

La famiglia e il palazzo Benedetti, in contrada di Santa Sofia, nel Sestiere di Cannaregio

Nel Rio di Santa Sofia, attiguo alla Ruga dei Do Pozzi, sorge il palazzo pregevole per la sua elegante architettura gotica, della famiglia patrizia Benedetti, venuta sembra da Acri nella Siria, ed ammessa al Maggior Consiglio verso il 1270. Il palazzo, sulla cui facciata principale spicca lo stemma a rombi della famiglia, sovrasta il Sotoportego de la Guerra, ed é questo uno dei punti più caratteristici della città, specialmente quando al posto del presente “casone Scarabellin” si stendeva un grande orto i cui alberi, dalle basse mura, si chinavano verdeggianti sulle acque del canale.

Vicino al palazzo, come si scorge nella Pianta di Venezia del Coronelli, c’era un ponticello che univa il sottoportico alla ruga ed anche il ponticello, ora distrutto, si chiamava “dei Benedetti“.

Per testimonianza del genealogista Girolamo Priuli, nel 1622, abitava il palazzo Piero Benedetti, consigliere del sestiere di Cannaregio; quivi nacque suo figlio Vincenzo e fu questi l’ultimo dei Benedetti, ucciso nel suo palazzo nel 1658, ed allora il palazzo passò ai Zen di San Stin, di cui un Bartolomeo aveva sposato Caterina sorella di Piero.

La morte di Vincenzo avvenne proprio tragicamente. Era la notte dall’otto al nove giugno ed il povero nobiluomo tranquillamente dormiva, quando parecchi ribaldi mascherati, scalata una finestra del palazzo che a refrigerio del caldo era rimasta socchiusa, gli furono sopra, intimandogli di consegnare loro denaro e gioielli. Il Benedetti, uomo forte e vigoroso, impegnò una lotta terribile coi più vicini assalitori, mentre la fantesca gridava al soccorso, ma prima dei soccorsi il pugnale dei ladri colpiva varie volte il Benedetti, e quando vennero gli aiuti Vincenzo era morto ed i ladri fuggiti.

Ben presto si scoprirono rei del delitto un Giuseppe Righi, merciaio in Campo San Stefano, un Pietro, barbiere all’insegna del Pesce a Sant’Angelo, un Tommaso Carli nominato l’alfiere, un Simeone Maggiollo di Cannaregio, ed un frate Leone del convento di San Giobbe, fratello di Pietro barbiere al Pesce.

Con sentenza adunque del 26 giugno 1653 il merciaio ed il barbiere furono condannati a morte, ma prima ebbero tagliate le mani d’innanzi al palazzo Benedetti e poi furono trascinati a coda di cavallo da Santa Sofia a San Marco fra le due colonne del Molo; il Tommaso Carli ebbe dieci anni di galera; tutti gli altri, essendo fuggiti, furono banditi in contumacia e se presi sarebbero stati consegnati al carnefice.

Il povero Vincenzo Benedetti fu sepolto a San Giovanni e Paolo, nella seconda cappella a destra di chi entra per la prima porta laterale del tempio; sulla tomba e scolpita l’arma gentilizia della famiglia, e sotto una epigrafe che rammenta la funesta tragedia. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 25 giugno 1933.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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