Il cuore del vecchio doge Francesco Erizzo, riposto nella Basilica di San Marco

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Palazzo Erizzo. Sestiere di Castello

Il cuore del vecchio doge Francesco Erizzo, riposto nella Basilica di San Marco

Nel palazzo Erizzo che sorge nella contrada di San Giovanni in Bragora, nacque nel 1564 Francesco Erizzo, eletto doge di Venezia il 10 aprile 1631.

Egli regnò quasi quindici anni, era uomo di poche parole, di grande energia, di coltura non comune, ma soprattutto di un ardente amore di patria che non conosceva né confini né sacrifici. Verso la fine del suo ducato, era allora il 29 novembre 1645 e il doge Francesco aveva ormai compiuto i suoi ottant’anni, Venezia, alle prese col Turco, aveva perduto Canea, il maggior porto dell’isola di Candia, la maggiore delle sette grandi isole del Mediterraneo, povera di grani, ma altrettanto feconda di ulivi, di viti, di frutta, di agrumi, di erbe medicinali.

La notizia di quella perdita che insuperbiva la tracotanza turca fu appresa non solo dai veneziani ma da tutta l’Europa con un senso di paura, pure nessuno a salvaguardia della cristianità offerse alla Repubblica il benché minimo soccorso e San Marco dovette tutto solo offrirsi baluardo dei Turchi con le sue navi, il suo tesoro, il suo più nobile sangue in olocausto, mentre l’Europa cristiana guardava indifferente corrosa dall’egoismo e dall’invidia, e mandava le sue navi, approfittando delle distrette della grande rivale, ad allargare i propri commerci percorrendo altri mari.

Furono ventiquattro anni di battaglie e di lotte per difendere Candia, e le vittorie e le sconfitte si susseguirono sempre più sanguinose: Iacopo da Riva a Fochies, Alvise Mocenigo a Paro, Giorgio Morosini a Milo, Lazzaro Mocenigo ai Dardanelli, il vero e il solo dal seicento in poi trionfatore dei Dardanelli, e prima che Candia cadesse furono venticinquemila i Turchi morti e quarantamila i feriti.

La Repubblica dopo le perdite della Canea, dovette attendere più che mai a proteggere tutte le sue terre confinanti coi Turchi; le sue galere correvano i mari poderosamente armate, Lido e Malamocco furono fortificati, sier Anzolo Correr venne mandato in Friuli, a quello che più urgeva in quei primi momenti era di trovare un capitano generale cui affidare il supremo comando e che avesse tale autorità da por freno a qualsivoglia gelosia, invidia o rivalità.

Si raccolse d’urgenza il Senato il 10 dicembre 1643, l’alta assemblea in quel giorno era imponente, nessuno mancava, e dopo un breve discorso del doge Francesco Erizzo cominciò la votazione tra un silenzio profondo. Nello scrutinio più volte uscì dalle urne il nome del doge e allora sier Marco Morosini interrompendo la lettura dei suffragi gridò: “Et sia il Serenissimo Erizzo!” e il Senato unanime applaudiva eleggendo il doge per acclamazione capitano generale dell’armata.

Il venerando vecchio più che ottantenne accettò l’incarico dichiarandosi pronto a sacrificare quel suo debole avanzo di vita per il bene della patria, e il 12 dicembre il Senato spediva a tutti i Podestà delle terre del dominio, ai Provveditori della Dalmazia e dell’Albania, ai Governatori delle isole l’annuncio di quella elezione.

L’aspra guerra, promossa dai Turchi con insolite, insidiose et infide maniere, frangendo il giuramento solenne di pace senza alcuna immaginabile causa precedente, ha involta la Repubblica in gravissimi travagli, et esposta la Christianità ad evidenti pericoli. Ogni studio con applicatione indefessa et incessante s’usa da noi per bene prepararsi a propulsare così ingiusti tentativi de gli Ottomani, ad oggetto di preserverare li nostri fidelissimi sudditi sempre prediletti, et contribuire alla Religione et al servitio di Dio quanto per noi si possa. Il Serenissimo Principe nostro medesimo con inesplicabile prontezza et con animo forte et generoso incontra la presente grande occasione di esponere sé stesso et conferirsi in persona al commando supremo delle Armi. La partenza è stabilita per il primo di marzo venturo, acciò opportunamente possa conferirsi al luogo del bisogno et contribuire alla Patria et alla Christianità il frutto della sua somma virtù, valore et prudenza“.

Ma Francesco Erizzo non partiva: “applicatosi con ogni ardore a dar gli ordini et infervorato ne gli interessi della Repubblica tolse l’hore alla quiete et la quiete a se stesso, onde caduto infermo morì alli tre di genaro, principio de l’anno 1646“.

Egli venne sepolto nella chiesa di San Martino sotto il monumento funebre costruitogli dello scultore trentino Matteo Carnero, ma il cuore, per sua disposizione testamentaria, fu tolto dal cadavere e in una cassetta d’argento riposto nella Basilica ducale di San Marco.

Alla caduta della Repubblica scomparve la cassetta d’argento massiccio e con essa anche quel cuore che aveva così ardentemente amato la sua gloriosa Venezia. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 18 giugno 1931.

Dall’alto in basso, da sinistra a destra: Palazzo Erizzo, Chiesa di San Martino di Castello, Basilica di San Marco luogo dove era deposto il cuore del doge Erizzo, Palazzo Erizzo, Chiesa di San Martino di Castello monumento funebre al doge Erizzo.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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