La fortezza di Marano

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1537
La torre detta "Millenaria". Marano Lagunare.

La fortezza di Marano

Marano Lagunare è posto sull’orlo interno e settentrionale della così detta “Laguna di Marano” compresa fra il corso del Tagliamento e il fiume Ausa che, ingrossato dal canale Anfora, la rasenta a Levante. Dal dominio dei Romani, Marano era passato a quello dei patriarchi di Aquileia rimanendovi fino al 1420, nel qualche anno, con atto di dedizione in data 18 luglio, veniva in dominio della Repubblica di Venezia che da quasi due secoli ne agognava il possesso come posizione strategica di molta importanza con la sua torre colossale del dodicesimo.

Così all’epoca della famosa Lega di Cambrai, quando le truppe tedesche calarono in Friuli invadendo le città e le fortezze veneziane, anche Marano cadde, ma la sua caduta fu provocata da uno di quelli soliti tradimenti allora così frequenti.

Era nel 1513 capitano di Marano sier Nicolò Pesaro e grande amico del Pesaro pareva un tale prete Bortolo, vicario di Mortegliano, piccolo paese nella stessa provincia a circa sedici chilometri dal capoluogo di Udine. Ospite dell’amico patrizio, prete Bortolo nella mattinata del 12 dicembre volle andare a caccia di selvaggina nella pianura acquitrinosa e palustre che costeggiava a settentrione la grande torre, e d’accordo con un suo compare, tale Vincenzo Castagna, si fece dare la chiave della porta che metteva sulla pianura desolata, ma ricca di folaghe e colombi.

Dopo cinque ore nella torre c’erano i soldati tedeschi condotti dal vicario traditore e per la piccola città s’alzavano poderose grida di: “Morte san Marco!“, mentre sier Pesaro e i pochi soldati di guardia, colti all’improvviso, fuggivano verso Portogruaro ancora veneziana.

Marano era perduto e prete Bortolo, dividendo il prezzo del tradimento con l’amico Castagna, pensava che poteva ancora molto guadagnare consegnando nelle mani dei tedeschi anche la terra di Portogruaro; “terra grossa et ricca cum belle case et bellissimi fonteghi“.

Ribaldo, energico, risoluto si pose alla testa di alcune turbe di contadini predicando che la Repubblica era scomunicata e cercando di convincerli in nome del buon Dio di combattere San Marco. Parecchi di loro abboccarono e il triste drappello, armato dai tedeschi, si diressero nella notte del 29 dicembre per la strada del “Fossolato” verso la città di Portogruaro. Ma il progetto traditore non ebbe successo poiché Daniele Toffolo, “homeno d’arme et fidele di la Serenissima“, venuto a conoscenza del nuovo delitto immaginato da prete Bortolo, attese in agguato con alcuni suoi fedeli la venuta dei ribelli presso le mura della torre di Portovecchio.

Lo scontro fu improvviso: nella oscurità della notte s’intesero spari ed urla, ma la grida di “Marco! Marco!” si alzarono alte e possenti sulla terribile mischia; i contadini ribelli si dettero alla fuga, tra i morti cadde anche Vincenzo Castagna e prete Bortolo fu preso e strettamente legato venne rinchiuso nella torre da Daniele Toffolo.

Alla mattina, d’ordine di sier Nicolò Pesaro, una leggera fusta del Consiglio dei Dieci trasportava a Venezia il prete traditore, il processo, fattogli subito dai Dieci, non fu lungo; sotto la tortura il vicario di Mortigliano confessò ogni cosa ed ebbe qualche parola di pentimento, ma ormai egli era giudicato e la sua ultima ora era suonata.

Il 2 marzo prete Bortolo veniva condotto tra le due colonne della Piazzetta di San Marco, e il boia dopo di averlo con parecchi colpi di “manara” atterrato, lo attaccò per i piedi alla forca credendolo morto; “et ligato si vete esso prete non esser ancor morto et moveva le gambe et li ochi, unde tutti chi li era apresso comenzavano a trarli saxi a la volta di la testa et di la persona et cussì esso mostrava di risentirsi; pur tanto li fo trato che a la fin morite; sicché credo sentisse una crudel morte“.

E Marin Sanudo nei suoi Diari esclamava: “Et cussì finì la vita sua come el meritava“.

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 5 dicembre 1928

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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