La statua del sior Antonio Rioba in Campo dei Mori, nel Sestiere di Cannaregio

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Campo dei Mori. Sestiere di Cannaregio

La statua del sior Antonio Rioba in Campo dei Mori, nel Sestiere di Cannaregio

Una vecchia cronaca veneziana (Codice 27 della Marciana) dice: “negli anni del Signore 1112 tre fratelli greci, Rioba, Sandi et Afani, per le seditioni civili fuggitisi dalla Morea, si ricoverarono con grandi averi a Venezia, et edificarono l’abitazioni loro appresso il ponte che fu detto dei Mori (da Morea)”.

I tre fratelli erano della famiglia Mastelli, famiglia ricchissima della Morea, la quale, venuta a Venezia, fabbricò un suo palazzo alla Madonna dell’Orto e volle incastonate, nella parte del palazzo che fa angolo tra la fondamenta ed il campo le statue dei tre fratelli, quali fondatori a Venezia della famiglia e con i nomi di ciascuna di loro incisi nella figura rispettiva.

I Mastelli rimasti sempre nella cittadinanza si dedicarono alla mercatura e gestivano a Cannaregio un fondaco di spezerie all’insegna del Cammello, forse allusione al Cammello che si vede anche oggi scolpito sugli avanzi del palazzo, ed il fondaco era uno dei più ricchi e più frequentati. Ma la famiglia si ritirò ben presto dal commercio, comperò dalla repubblica la giurisdizione sopra il passo di Moranzano sul Brenta, ed attese a godersi in pace le accumulate ricchezze fino al 1620, anno nel quale andò estinta in un Antonio.

E questo Antonio fu appunto quel tale Antonio Rioba, così chiamato dal popolo dal primo nome di quelle tre statue tanto popolare nel principio del seicento, e che fu nella famiglia Mastelli in figura più simpatica e più popolare.

Egli era figlio di Gaspare Mastelli e di Laura Turloni, figlia a sua volta di quel Gaspare Turloni burbanzoso, spaccamonti, gradasso, ed il buon Antonio teneva del padre la pigrizia e l’indolenza orientale, ma aveva scatti e ribellioni che ricordavano il nonno materno. Sior Antonio Rioba ebbe anche gli onori della scena, e difatti lo troviamo nella fiaba l’Angellino Belvedere di Carlo Gozzi, in cui la statua del Rioba si lagna perché gli insolenti fanciulli con le pietre gli avevano rotto il naso.

Il palazzo dei Mastelli passò per eredità di donne al notaio Marcantonio Prezzato e racconta il Gradenigo, nei suoi Notatori, che nel 1757 si udirono, per più sere consecutive, suonare nell’ora medesima tutte le campanelle delle stanze, battere le porte e dare fortissimi colpi alle pareti. Grandi paure, cavate di sangue, svenimenti di donne, ed il popolo, raccolto sulla fondamenta, vedeva l’ombra de Sior Antonio Rioba passeggiare per il tetto del suo antico palazzo dove era nato e dove era morto. Il cappellano della scuola di San Fantin (solenne esorcista) dovette accorrere con acqua santa ed aspersorio, ma gli spiriti se ne andarono quando vollero loro.

E così, circa il campo dei Mori ed il palazzo omonimo, cade completamente l’antica tradizione che quel sito si chiamasse dei Mori per un antico fondaco dei Saraceni, fondaco a Venezia mai esistito. (1)

In quelle che furono le antiche abitazioni dei Mastelli, a delimitarne la proprietà, sono collocate non tre (come raccontano tutte le storie antiche) ma quattro grandi figure di marmo di uomini vestiti alla Greca. La statua all’angolo, ai piedi del Ponte dei Mori, è quella del sior Antonio Rioba, che come il Pasquino di Roma, era una statua parlante per via di quei biglietti o cedolini che i veneziani usavano deporre alla sua base. Nell’Ottocento la statua perse il naso, e gli fu rifatto con un pezzo di ferro, nel 2010 perse la testa, trafugata da ignoti, ma ritrovata qualche giorno dopo.

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 23 agosto 1923

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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