Le colonne rosse della loggia del Palazzo Ducale, verso la Piazzetta di San Marco
Se si guarda la facciata del Palazzo Ducale, verso la Piazzetta di San Marco, si può notare due colonne rosse tra tutte le altre bianche. Le due colonne rosse indicano il luogo dove venivano giustiziati i patrizi per i reati di tradimento o contro le istituzioni della Repubblica.
Nel 1470, per l’elezione del Podestà di Padova, venne eletto sier Domenico Erizzo contro sier Leonardo Giustinian appartenente a una delle ventiquattro famiglie più antiche della Dominante. Presente all’elezione era sier Bartolomeo Memmo quondam Francesco “zovene de vinti anni qual havea cavà bala d’oro et la habù gran despiaser che l’Erizo sia romaso contra el Contarini, per reputar più degna la casa Contarena quel era de le vecie come quella dil Memmo“. Nella sua giovanile spensieratezza sier Bartolomeo si avvicinò ad alcuni nobili del Maggior Consiglio dicendo: “Questi traditori no ne vol mai far in nessun luogho; se volè vegnimo diese de nu a Consegio, domenegha che vien, co le corazine sotto le veste e amazemoli tutti, comanzando da questo becho de Christoforo Moro (il doge!)”.
Il Collegio decise subito d’accordo col Consiglio dei Dieci, l’arresto di Bartolomeo Memmo, e “fo preso chel ‘l fusse apicà in le colonne rosse del palazzo la matina seguente a hora terza er cussì fo fato“. Solo Bernardo Giustinian si oppose dicendo “che ‘l no meritava la morte perché le parole che l’ha dito no havea fondamento, perché l’era zovene, perché non era seguito efeto nissun, perché parole non feno delitto, perché santo Marco vuole justitia et non crudeltà“. Parole vane; nella mattina del 13 luglio “a hore di terza“, il misero corpo di Bartolomeo Memo penzolava tra le due colonne rosse del Palazzo Ducale. (1)
Nel 1504 era podestà di Capodistria Girolamo Tron del fu Priamo, il quale per avidità di denaro si era messo al servizio dei Turchi trasmettendo tutto ciò che sapeva dei segreti della Repubblica. Tradito dal un servo venne arrestato da Missier grando ancora sulla nave che lo portava a Venezia per affari. Girolamo all’ordine di arresto disse: “Tu me tuol in fallo, ho fato tanto per la Signoria!“, e Missier grando rispose: “El Consegio no se sbaglia; venì co’ mi a Palazo!“.
In carcere confessò ogni cosa, e il 29 ottobre fu condannato alla forca. Nel mattino del 30 “fu sonato la campana del maleficio“, una campana lugubre che annunciava a tutta la città una morte “per man de giustizia“. Molta gente corse in Piazza, le porte del Palazzo furono chiuse e sulla loggia esterna comparvero i tre Capi dei Dieci e gli Avogadori Polo Cappello e Marco Loredan, “Et cussì a le colonne rosse de la loggia fo apicado ser Tron et qual stentò a morir et era con una vesta nera sul zipon. Stete picado fino a nona, poi fo despicado et mandato a sepelir“. Dal processo risultò che il Turco gli pagava cinquecento ducati all’anno “et li fradelli non volsero vestir coroto (lutto) et che non fusse sepulto in la soa arca“. (2)
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 26 ottobre 1930
(2) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 18 giugno 1925
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