I “calcagnetti”, nella moda femminile dal Quattrocento al Seicento, a Venezia

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I "calcagnetti" in mostra al Museo Correr.

I “calcagnetti”, nella moda femminile dal Quattrocento al Seicento, a Venezia

Un curiosa particolarità di Venezia, cominciata nei primi anni del Quattrocento, erano gli altissimi zoccoli di pelle, di legno, di cuoio cotto, di zughero. Le donne più distinte che portavano in casa scarpine di seta e di velluto, quando uscivano adoperavano una strana forma di calzare ad alta suola per non impillacherarsi nelle vie sterrate e fangose.

Ciò diede origine ai famosi zoccoli, chiamati “calcagnini o calcagnetti” che divennero coll’andare del tempo oggetti di lusso e raggiunsero nella scuola l’altezza di oltre mezzo metro, sicché non era raro il caso di cadute pericolose seguite da gravi conseguenze. Di tali zoccoli quattrocenteschi se ne conservano due paia nel nostro Museo Correr; sono di legno rivestito di cuoio bianco fregiato a trafori, di sotto ai quali appare una stoffa colorata; la suola di un paio è alta centimetri 41, dell’altro centimetri 43.

Ma nel Cinquecento, alla semplicità di fattura “de li calcagnetti” del secolo precedente si aggiunse il lusso e lo sfarzo e se ne fecero di broccato, arabescati, dorati, gemmati e con la scuola alta da parer dei veri trampoli di cui Tomaso Garzoni nella sua “Piazza Universale di tutte le professioni” scriveva: “questi zoccoli davano grandezza tale alle dame che per la piazza di san Marco pareva veder le nane convertite in gigantesse et le grandi in campanili“.

L’altezza di queste originali calzature impediva il camminare spedito, onde le veneziane ebbero bisogno di essere sostenute dalle fantesche e di queste, per quella benedetta mania del lusso, altre facevano corteggio e quanto più lungo era il seguito tanto più era considerata la padrona. Ma nonostante le fantesche che le sostenevano, spesso le nobildonne, specialmente nel passare i ponti, sdrucciolavano e cadevano e una vecchia cronaca racconta che la bella Laura Dolfin, sul ponte di San Pantaleone recandosi verso il suo palazzo, cadde malamente ed cadendo incinta abortì e fu vero miracolo “e campò dalla morte“.

Si commossero parecchi a quel caso fu mesto, però la moda “de li calcagnetti trampoli” non dette quartiere e il Maggior Consiglio con i suoi decreti proibitivi non approdava a nulla: fin dal 1430 aveva vietato quella foggia di calzature, ma invano ché le dame veneziane continuavano sempre nel loro pessimo costume. in soccorso del Maggior Consiglio, nel mese di maggio 1512, dopo qualche settimana dalla sventura occorsa a Laura Dolfin, sorse il Magistrato alle Pompe e proibì gli ori, gli arabeschi, gli zoccoli e le gemme che adornavano gli zoccoli nella speranza che privati della ricchezza le donne decisero di smetterli.

Fatica sprecata, poiché cinquant’anni più tardi sier Andrea Vendramin in una sua operetta “Adone sfortunato” faceva dire a un suo personaggio: “Ho più vote sentito – Narra da chi vi fu – Che sul veneto lito – Le donne paion gru“, e un poeta anonimo gli faceva corona rincalzando la satira: “Quando un Signor di questi s’è accasato – E vuol baciar la sposa com’è usanza – E’ mestier che un scalin si metta a lato“.

Alla fine del Cinquecento l’uso degli altissimi zoccoli si era maggiormente diffuso e li portavano anche le “honorate cortigiane” con la veste ricca e lunghissima di seta o di velluto adorna di merletti o damascata, ma nelle loro stanze lasciavano la veste e gli zoccoli, e più piccoline apparivano vestite da uomini, con i capelli “a fungo” prendendo l’aspetto di giovanetti in omaggio all'”abominandum vitium” spesso menzionato e qualche volta con la morte punito nei decreti della Repubblica.

Il costume dei “calcagnetti trampoli” a dispetto delle tante leggi pubblicate durò fino al 1669 e furono le due figlie del doge Domenico Contarini le prime ad abbandonare la ridicola moda e comparvero allora le scarpette basse con la punta all’insù, più tardi confezionate di drappo d’oro e d’argento, con ricami e merletti e fibbie di brillanti che costavano fior di quattrini.

L’ambasciatore di Spagna lodando dinanzi al doge e ai consiglieri le patrizie Contarini, sentì uno dei consiglieri uscire con questa esclamazione di rammarico: “Pur troppo commode! Pur troppo!” e di questo rammarico troviamo la spiegazione nella “Moda“, una satira inedita di Gianfranco Busenello, poeta e avvocato:

Zà, zà le andava su do pali grandi
Per no farse veder cussì da rente;
Adesso le va basse fra la zente
Perché no se scoverza i contrabandi
” (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 10 gennaio 1930

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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