Tabacco da fiuto e tabacchiere nei secoli a Venezia

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Calle del Tabacco a San Stin. Sestiere di San Polo

Tabacco e tabacchiere nei secoli a Venezia

La prima apparizione del tabacco da fiuto a Venezia fu accolta con una certa diffidenza dalla popolazione, anzi nel 1566 ne fu addirittura proibita la vendita da un decreto del Senato che riteneva il tabacco dannoso. Ma come tutte le cose proibite i partigiani lo spacciavano di contrabbando, alcuni medici dapprima timidamente poi più forte lo consigliarono per la salute, alcuni patrizi tra i quali Anzolo Marcello di San Tomà ne discussero e lo difesero in Senato, e verso la fine del Cinquecento agli speziali da medicine fu permessa anche la vendita del tabacco da fiuto, considerato come un rimedio per molti incomodi, specialmente per i mali di testa.

Nel Seicento l’uso del tabacco divenne generale, lo stesso doge Francesco Erizzo, eletto nel 1631, tabaccava in Collegio e offriva tabacco ai suoi Consiglieri, e il Governo dinanzi al fatto compiuto cassò il suo decreto di proibizione non solo, ma ne diede l’appalto ad alcuni rivenditori all’ingrosso ritraendone dal dazio un profitto di circa un milione e quattordici mila ducati.

Il tabacco aveva conquistato Venezia; esso si vendeva dai girovaghi un po’ dappertutto, da un vecchio ebreo in due baracche sotto il porticato delle prigioni al Ponte de la Pagia e dall’appaltatore Davide Israel da Pisa in tre botteghe, la prima in Ghetto, l’altra a Rialto e la terza verso l’orologio di San Marco. In pochi anni il famoso “rapè“, una fine mescolanza di due varietà di tabacco, era divenuto di uso comune non solo a quasi tutti i patrizi, ma anche fra le donne eleganti e c’erano norme speciali per soffiarsi il naso con fazzoletti di seta a colori, regole particolati per starnutire o chiedere alla dama “una presa del suo grazie“.

Col tabacco cominciarono ed ebbero grande voga le tabacchiere; nel seicento erano scatoline di cartone o di legno laccato, ma poi nel Settecento furono d’oro e d’argento smaltato, di porcellana e di cristallo di monte, di cedro dipinto o in ebano intarsiato, costavano da cento zecchini a quaranta ducati e Gasparo Gozzi nella sua “Gazzetta Veneta“, scriveva tra la satira e la verità “l’esercizio militare delle tabacchiere” eseguito in tredici tempi dai giovani patrizi e dalle dame scollate nei salotti veneziani.

Primo tempo prendi la tabacchiera con la dritta, passata nella sinistra, batti la tabacchiera, aprila, presentala alla compagnia, ritirala, raduna il tabacco battendo sul coperchio, prendi una presa di tabacco con le dita, tienila un poco fra le dita prima di presentarla al naso, annusa con tutte due le narici, non far brutto viso, serra la tabacchiera, sternuta e soffia il naso“. Era la manovra un po’ complicata, ma i damerini patrizi di San Marco non sbagliavano mai.

Un biglietto trovato nelle urne del Serenissimo Collegio di Genova, il 12 agosto 1719, denunziava che sotto la loggia dei Banchi si vendevano tabacchiere “con donne nude oscenissime” e si ammoniva a togliere l’indegno abuso “come pure era stato fatto e tolto nella città di Venezia“. Difatti a Venezia queste tabacchiere a sorpresa oscena erano ricercatissime, si vendevano alla macchia, specialmente ai forestieri, lungo le Mercerie, in Piazza San Marco o presso qualche cortigiana e famoso dipintore di tali soggetti sull’avorio interno alle scatole era nel 1712 un tale Francesco Masserini abitante a San Matteo di Rialto.

Il pievano della contrada, Nicolò Palmerino, venuto a conoscenza del turpe commercio, rimproverò e minacciò il Masserini, che per vendicarsi accusò il prete al Consiglio dei Dieci di carteggio con principi esteri su materie di Stato, presentando documenti da lui stesso falsificati. Don Nicolò fu imprigionato, sottoposto alla tortura e condannato a prigione perpetua, ma dopo due anni, scoperto la frode, veniva scarcerato e il calunniatore Masserini con sentenza 14 agosto 1714 era strozzato in carcere “e di notte tempo appeso alla forca“.

Non cessò però il commercio delle tabacchiere oscene: Giacomo Casanova ne aveva sempre due o tre nelle sue tasche e offrendo alle sue amiche “il rapè profumato“, le invitava ad ammirare le lubriche scene dipinte. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 23 marzo 1930

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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