La beneficenza nel testamento del nobile Lodovico Priuli, da San Stae

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Palazzo Priuli Bon a San Stae - Sestiere di Santa Croce

La beneficenza nel testamento del nobile Lodovico Priuli, da San Stae

La pubblica beneficenza nelle sue forme più varie era uno dei grandi meriti del patriziato veneziano: i patrizi beneficiavano in morte con quella generosità ricordata dalle antiche cronache e dai numerosi testamenti del nostro Archivio dei Frari. Furono essi che attraverso i secoli della gloriosa Repubblica dettero vita alle nostre istituzioni di beneficenze, e dal primo ospizio sorto nel 939 fino all’ultimo, due anni prima della caduta della Serenissima, in più di otto secoli, la carità si svolse attiva e feconda sollevando miserie, confortando dolori, soccorrendo sventure.

Narra il Sansovino nella sua “Venezia descritta” che un Cesare della famiglia Giulia, in sul cadere del 939, fondava una scuola ed un ospizio per donne, vecchi e pellegrini, chiamato di Santa Maria della Misericordia dal luogo dov’era sorto; circa quarant’anni dopo si aprì l’ospizio del doge Pietro Orseolo; nel Mille quello di Terrasanta ai Santi Giovanni e Paolo; poi quello di San Lazzaro dei Mendicanti; Marco Bollani, abate nel monastero di San Giorgio, fabbricò verso il 1200 un ospizio dei pellegrini avviati ai Santo Sepolcro, più tardi si ebbero quello degli Armeni a San Giuliano e l’altro, il più importante, della Ca’ di Dio.

Raniero Zeno erige l’ospizio ai Gesuiti, dove risplende l’arte di Palma il Giovane, Pietro Brustolado destina nel 1316 una propria casa a Sant’Eufemia della Giudecca per dodici poveri infermi e Zuane Polini assegna ai poveri una sua casa a San Martino intitolato a Sant’Orsola; così i Badoer instituiscono l’ospizio in San Giovanni Evangelista, i Contarini in San Geremia, i Donato a San Marcuola; Luca Moro in Santa Maria Zobenigo, Antonio Ridolfi dà vita a quello “in paluo Sant’Antonio di Castello” e Filippo Tron a quello di Santa Maria Maggiore. E’ una gara di carità, una emulazione di beneficenza e le tracce principali di questa nobile competizione si trovano nei testamenti.

La famiglia Priuli, una delle più ricche e illustri famiglie patrizie della Dominante, che diede tre dogi, quattro cardinali e parecchi guerrieri, aveva nel 1569 un procuratore di San Marco, sier Ludovico Priuli, capo del ramo maggiore di Santa Croce, il quale compilò il testamento in data 3 maggio di quell’anno stesso, uno dei testamenti più splendidi a noi tramandati per elargizioni di ogni specie, per sentimento religioso, domestico e patrio.

Sier Lodovico Priuli figlio e nipote di due dogi Lorenzo e Girolamo, non era né un guerriero né un grande uomo politico, ma era uomo coltissimo, onesto fino allo scrupolo, di una bontà infinita e la Repubblica per quelle sue doti non comuni lo aveva eletto procuratore. Di queste sue doti fa fede il suo testamento che comincia con un atto di devota umiltà: “Vogio essere sepulto in uno loco dei capucini alla Giudecca vestito da capucini siben son nella Scuola di san Rocco, et prego quelli padri di donarmi un de li più tristi nabiti che hanno per metermi in sepultura“. In compenso assegna annualmente al monastero due pezze di panno “grizo che veste dodici frati“, cento candele grosse “et venti torzi“, tre “barila di tre masteli padoani pieni di malvasia di moscatela buona” e trenta ducati.

Poi pensa agli ospedali di San Zanipolo e degli Incurabili e lascia loro duecento ducati per ciascuno, pensa agli ospedali degli Orfani di Venezia e di Padova e assegna cento ducati per uno “et uno per de calzete et uno per di scarpe ogni anno a li orfani“. Vuole che “sia despensato ducati mille per maridar vinti donzelle povere a ducati cinquanta per una“, che venga fabbricato un ospedale per ricovero di ventiquattro “poveri vechi li quali oltra la camera habino ducati dodeci a l’anno per cadaun“, e prescrive benefici annuali da trecento a cento ducati agli ospizi della Muneghette a San Martino, dei Crociferi di Santa Margherita, di San Pietro, dei Marinari, di San Boldo in corte dell’Albero e all’ospizio in Calle del Carro.

Una casa che aveva in Padova ordinò fosse trasformata in collegio per sei scolari “di cha’ Priuli” con un assegno annuo di cento ducati ciascuno e perfino a sua suocera “la clarissima madonna Bianca Contarina“, lasciava trecentocinquanta ducati da pagarsi ogni anno dagli esecutori testamentari.

Il testamento è lungo e pieno di lasciti agli amici, ai servitori, alle chiese, ai conventi, ed è davvero il testamento di un giusto, di uno di quei tanti patrizi veneziani che per bontà e generosità di cuore si facevano adorare dal popolo che in loro vedeva personificata “la grande et gloriosa terra di santo Marco“. (1)

L’ospizio per “i poveri vechi” (Ospizio Piuli o di San Lodovico) trovò compimento nel 1571, venne costruito nella contrada dei Carmini nell’attuale Calle dei Vechi, e sopravvisse alle soppressioni napoleoniche. L’ospizio era costituto da un oratorio, dall’alloggio per il cappellano e da un edificio con le camere per i vecchi. L’attuale edificio con gli alloggi per i vecchi è il risultato di una riedificazione del primo novecento ed è di proprietà dell’IRE (Istituzioni di Ricovero e di Educazione) di Venezia.

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 5 ottobre 1930

Ospizio Priuli o Ospizio San Lodovico o Ospizio dei Vechi, in Calle dei Vechi in contrada dei Carmini, nel Sestiere di Dorsoduro.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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