La Chiesa della Madonna dell’Orto, nel Sestiere di Cannaregio

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Chiesa della Madonna dell'Orto - Sestiere di Cannaregio

La Chiesa della Madonna dell’Orto, nel Sestiere di Cannaregio

Nella metà del Trecento, al di là della “sacca della Misericordia” era sorta una chiesa gotica a tre navate, gran fabbrica di cotto, la cui facciata veniva adornata di motivi architettonici con nicchie, statue e nel coronamento terminale edicolette a pinnacoli e a cuspidi.

Era, con l’annesso convento, opera di frate Tiberio da Parma dell’ordine degli Umiliati e si dedicava a San Cristoforo, quando nel 1377 avvenne un fatto per cui la chiesa cambiò nome, specialmente tra il popolo che d’allora la chiamò della “Madonna dell’Orto“.

Scavando in un orto attiguo si era scoperta una grande statua in pietra tenera raffigurante la “Vergine col Putto” ed era apparsa tutta coperta come da un gran manto di foglie verdi che parevano appena tolte dagli alberi e un buon profumo si spandeva d’intorno. Si gridò al miracolo, fu trasportata nel tempio e con solenne funzione “la Madonna dell’Orto o Madonna Odorifera” fu messa nella Cappella di San Marco a destra dell’altare dove esiste tuttora.

Verso il 1452 i padri Umiliati, nonostante il loro nome, avevano una grande brutta fama: “litigiosi et vitiosi“, dediti a tutti i piaceri, privi di qualsiasi astinenza, tanto che la Signoria ne informava la Curia di Roma e il pontefice Pio II li esiliò dal territorio veneto affidando la chiesa e il convento alla Congregazione dei Canonici regolari di San Giorgio in Alga.

Sotto di loro, con le sculture fatte da Bartolomeo Bon, e da Antonio Rizzo il tempio assunse uno splendore nuovo a cui concorsero i dipinti di Cima da Conegliano, di Giovanni Bellini, di Jacopo Palma, di Paris Bordone.

Ma il grande pittore della chiesa, nelle cui opere rivive l’impeto creativo del suo genio, e Jacopo Robusti detto il Tintoretto dal “mestiere del padre“.

Egli abitava nella parrocchia della Madonna dell’Orto, in un palazzo archiacuto della Fondamenta dei Mori, poco lontano dalla chiesa; anima franca, carattere fiero e risoluto, parlava poco e non di rado aspro anche verso i potenti, rifiutò il titolo di cavaliere da Enrico III e non sapeva adulare, e fu uno dei pochi che abbiano risolutamente affrontata la malvagia maldicenza dell’Aretino.

Per la sua chiesa, la Madonna dell’Orto, egli dipinse la due colossali e portentose tele che stanno sulle pareti laterali del Presbiterio a sinistra “Il popolo ebraico adora il vitello d’oro, mentre Mosè sul monte riceve le tavole della legge“; a destra il “Giudizio Universale“. Le enormi tele, circa quindici metri di altezza, Jacopo ideava ed eseguiva verso il 1560 ricavandone solo cento ducati, neppure il prezzo della tela, dei colori, delle vernici.

Altri dieci dipinti del Tintoretto, veri tesori d’arte, raccoglie il bellissimo tempio e tra questi nella Cappella Contarini la famosa pala “Sant’Agnese risuscita il figlio del Prefetto romano“, uno dei suoi capolavori che i francesi avevano recato a Parigi nel 1797 alla caduta della Repubblica.

In questa chiesa il magico pittore volle esser sepolto e la sue ossa, con quelle dei figli Domenico e di Marietta, la sua prediletta figliuola pittrice e musicista, riposano nella povera arca sepolcrale di Marco de Vescovi, suocero del Tintoretto. Nel 1668 i Canonici regolari vennero soppressi e il convento della Madonna dell’Orto fu un anno dopo comperato dalla Congregazione dei Monaci Cistercensi, che abitavano il rovinoso monastero di Sant’Antonio nell’isola di Torcello.

Soppressi anche questi nel 1810, il “bel chiostro quattrocentesco” oggi serve a deposito di legname e delle numerose lapidi e pietre tombali, tra le quali quelle di Alessandro Leopardi, nulla è più rimasto.

La facciata della chiesa oggi è in condizioni tristi e dal alcune parti del soffitto quando piove cade l’acqua con evidente pericolo dei tesori d’arte che il magnifico tempio racchiude. Ai custodi dei nostri monumenti vada l’allarme! (1)

La chiesa, con i suoi dipinti e il chiostro vennero restaurati, dopo la grande alluvione del 1966, a cura del Venice in Peril Found.

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 19 dicembre 1928.

 

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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