La battaglia navale della Lojera (Alghero) e la Chiesa di San Zan Degolà, nel Sestiere di Santa Croce

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Chiesa di San Zan Degolà - Sestiere di Santa Croce

La battaglia navale della Lojera (Alghero) e la Chiesa di San Zan Degolà, nel Sestiere di Santa Croce

Una piccola chiesa vicina al Fontego dei Turchi, oggi soltanto oratorio sacramentale, è legato un grande ricordo: la battaglia navale della Lojera combattuta nelle acque della Sardegna il 29 agosto 1353 e vinta dai veneziani contro Genova la “Superba“.

La chiesetta di San Giovanni Decollato, chiamata volgarmente nel cinquecento “San Zuan di Golao” e più tardi “San Zan Degolà” veniva eretta nel principio del mille dalla famiglia patrizia dei Venier, rinnovata nel secolo decimoterzo dai Pesaro, restaurata e riordinata nel seicento, venne chiusa alla caduta della Repubblica e si riaperse soltanto nel 1810 come oratorio.

Per decreto senatoriale il 29 di agosto in cui ricorreva la “ Decollazione di San Giovanni Battista“, era giorno di festa poiché il Senato voleva così ricordare la vittoria della Lojera, una delle più belle vittorie navali veneziane del trecento, e in quel giorno il doge e le Signoria visitavano la chiesetta di San Zan Degolà e siccome era piccola per contenere il numeroso corteo, si diceva la messa nel campo sopra un altare appositamente costruito.

Tale usanza durò fino alla metà del Quattrocento, poi la cerimonia si celebrò in chiesa di San Marco addobbata con gran lusso sull’altare maggiore, tradizione che durò fin quasi agli ultimi anni del secolo decimosesto, stavano la dieci bandiere delle galere genovesi affondate nella memoranda giornata. E fu memorabile davvero, come ricordano le antiche cronache veneziane e il libro “Misti” del Consiglio dei Dieci, tanto che Antonio Grimaldi, grande ammiraglio della flotta genovese, sconfitto e avvilito, dovette far rimorchiare la sua sconquassata galera e con altre rimaste, in pessime condizioni, ritornarsene a Genova.

Il lutto, il dolore profondo, lo sgomento colpirono la Repubblica Ligure la quale, non badando che al grande odio contro la glorioso terra di San Marco, non esitò a sacrificare la propria libertà a Giovanni Visconti, signore di Milano, a patto di ricevere forze e protezione per combattere i veneziani.

Ma Giovanni Visconti sembra non volesse la guerra od almeno cercasse di guadagnar tempo per scendere in campo agguerrito, e mandò allora ambasciatori a Venezia, tra i quali Francesco Petrarca, in quel tempo alla corte di Milano, ad offrire la pace, ma il doge Andrea Dandolo sospettando l’insidia del Visconti non volle accettarla.

Era quella la prima volta che il Petrarca veniva a Venezia ed entusiasta della città e del suo Governo, indirizzava il 5 giugno 1354 una lettera al Serenissimo Dandolo con cui lamentava le sciagure della comune patria, l’Italia lacerata dai propri figli per invidia, ambizioni, avidità di dominio. E nel suo elegante latino concludeva: “scongiurando e supplicando il Dandolo per l’amore sempre da lui portato alla virtù, per la carità di patria, per la stessa sua gloria di deporre le ire e ai fratelli Liguri fraternamente porger la mano“.

Il 13 giugno il doge rispondeva: “Aver sempre egli amato la pace e altro non chieder che la quiete d’Italia. Meravigliarsi perciò che il Petrarca gli attribuisse altri pensieri e lo pregava di rivolgere le sue esortazioni ad altri la cui avidità fu sempre cagione di tante sventure. I Veneziani non volevano che la pace, purché gloriosa e onorevole per la nostra patria, per la quale siamo pronti a dare, nonché l’oro e l’argento, anche le stesse vite e quanto di più caro abbiamo“. Finiva con frasi piene d’amore e di stima per il grande poeta il cui affetto per l’Italia s’innalzava gigante sopra tutti i partiti, sopra i rancori regionali, le invidie, le cupidigie.

Ammonimenti sprecati; la battaglia della Lojera condusse alla guerra di Chioggia, ma Venezia, sostenuta da un forte e provvido Governo, risorse potente, dominatrice dei mari. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 30 maggio 1930.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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