La Scuola degli Acquaroli, in Campo San Basegio, nel Sestiere di Dorsoduro

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La Scuola degli Acquaroli, in Campo San Basegio - Sestiere di Dorsoduro

La Scuola degli Acquaroli, in Campo San Basegio, nel Sestiere di Dorsoduro

Nel 1621 Girolamo Priuli, ambasciatore in Francia della Serenissima, scriveva al Senato che un ingegnere francese, tale Edoardo Marebeau, si offriva “de condur nella città di Venezia un condotto di acqua dolce di un piede de diametro per un cannone di piombo, inventato da lui senza sodura nissuna, si che potrà durare mill’anni et più, senza che vi converrà fare riparazione nissuna, et condurrà esso cannone sotto acqua fino alla detta città sì che non sarà soggetto a caldo né a gielo“. Il progetto si trova unito ai dispacci, archiviati degli ambasciatori senza che il Senato lo avesse nemmeno in esame, sebbene l’acqua potabile fosse in certi casi insufficiente ai bisogni della città.

Fin dal 1015 si ricorda un pozzo d’acqua dolce nel monastero dell’isola di San Giorgio, uno in piazza San Marco vicino alla chiesa di San Geminiano, parecchi privati, ma sebbene i pozzi pubblici fossero nel trecento saliti a circa un centinaio, spartiti nelle varie contrade, pure molto di frequente specialmente in tempo di siccità, si doveva ricorrere agli acquaroli che recavano coi burchi l’acqua del Brenta. Scriveva Sanudo nella sua Cronachettache l’acqua si va vendando sechi octo al soldo, che in verità è da ridar esser in acqua et doveria comprar, ma era una necessità si per il bevar chome per il mestieri bisognevolli de acqua“.

Così l’arte degli acquaroli era antichissima: sorta dalla comunità di San Nicolò dei Mendicoli somministrava “acqua dolze agli abitanti di questa et nascente et adulta città in mezzo alle salse onde” e il 25 dicembre 1386 atteneva il permesso di fabbricare in campo San Basegio, presso il campanile, una piccola casa ad uso di Scuola e nella chiesa, oggi distrutta, un altare in onore del loro santo protettore. Era questi San Costanzo “che feva arder le lampade, cioè li cesendoli, pieni de acqua senza liquor né oio; come arra missier santo Gregorio nel suo dialogo su li Santi“.

La Mariegola della Scuola, approvata dal Consiglio dei Dieci, aveva, tra molte altre cose, stabilita una rigida moralità tra i fratelli, e si ordinava che “vivendo qualchedun in pecato mortal sia privo de l’arte, tutti debono confessarsi a Pasqua et Nadal, ogni seconda Domeniga di mese intervenghino a la Messa cantada in chiesa san Basegio, essendo baruffa tra fradeli si faccia tosto pase, nissuno in Scola possa indir parole sporche“. E tutti i fratelli stavano ligi ai propri doveri e la sorveglianza dei Gastaldo, il capo della Scuola, era attivissima affinché tutte le disposizioni della Mariegola e i privilegi dell’arte venissero rigorosamente osservati, in caso di contravvenzione le pene erano applicate dalla Scuola stessa col controllo dei “Giustizieri Vecchi” i cui fanti dovevano eseguire.

Così, una delle tante contravvenzioni che dimostrano i privilegi accordati agli acquaroli, si ebbe perfino nel 1742, quando un Girolamo Scarpa, non appartenente all’arte, forniva “gran quantità de acqua in contraffazione all’osteria delle due Spade a Rialto” e veniva punito con una multa di lire venete venticinque e gli si bollava la barca per sei mesi, cioè per tutto qual tempo non se ne poteva servire. All’oste “fu rimessa la pena stante costituito da lui annotato e zurato di non più contravenire alle leggi e diritti dell’arte“.

Secondo il Dezan, nelle sue illustrazioni all'”Iconografia delle trenta parrocchie di Venezia” del Paganuzzi, lo stazio principale dei burchi degli acquaroli era il canale attiguo a quello di Santa Sofia ai Santi Apostoli e perciò chiamato “Rio dell’acqua dolce“.

Nell’eminenza di un conflitto, o di altre disgrazie, con le truppe francesi, venga provveduto d’urgenza acqua dolce alla città“; questo fu l’ultimo ordine dato dagli Inquisitori alle acque alla Scuola degli acquaroli il 2 maggio 1797. (1)

Nell’architrave della porta della Scuola (reimpiegato su casa posteriore), rappresentante il busto di San Basilio benedicente e alle due estremità due busti di giovani santi martiri, è incisa la scritta: “DOMUS HANC VETVSTATE / DERVPTAM PROPRIO AERE / INSTAVRAVIT IOSEPH STVPA / HVIVS TEMPLI ANTISTES / ANNO MDCLXIII VII 7bris”.

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 14 novembre 1928.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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