I riti della Domenica delle Palme in Basilica di San Marco, durante la Serenissima

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La processione nella Domenica delle Palme. Il corno, la Candela, il Patriarca. (foto da https://i.pinimg.com/)

I riti della Domenica delle Palme in Basilica di San Marco, durante la Serenissima

La Festa delle Palme venne instituita dal Pontefice Giovanni VIII l’anno 877. Essa si solennizza in tutto il mondo cristiano in memoria dell’ingresso del Nazareno nella città di Gerusalemme, allorquando i Giudei gli andarono incontro con rami di palme e di ulivo, ed i veneziani nel celebrarla tennero un proprio stile.

La mattina della Domenica delle Palme un canonico di San Marco, detto il cassiere dell’anno, poneva sull’altare maggiore della basilica alcuni panieri di palme artificiali da essere presentate al Doge, ed ai Magistrati, che dovevano intervenire alla funzione. Ve ne aveva per i canonici, per i chierici, per i musici e per gli uscieri del Doge, di men belle però, ma tuttavia lavorate con molto buon gusto. La palma del Doge, fatta a piramide triangolare, si distingueva sopra tutte per ricchezza e per eleganza. Il manico era tutto dorato, portava lo stemma del Doge maestrevolmente dipinto; le foglie erano tutte d’oro, d’argento e di seta, accomodate con somma industria ed intrecciate con grazia. Questo finissimo lavoro usciva dalle mani delle Suore di Sant’Andrea, che non vi erano uguali per opere così fatte.

Si benedicevano le palme, indi si distribuivano fra ciascuno degli assistenti, veniva poi la messa solenne accompagnata da un’eccellente musica, dopo la quale il clero faceva una processione intorno alla Chiesa, venendo seguito dal Doge, dai Magistrati e dal popolo portante in mano un ramo di ulivo. Giunta la comitiva di rimpetto alla porta maggiore si fermava, ed i cantori intonavano l’inno a Cristo Re che entra in Gerusalemme: Gloria, laus et honor tibi sit Rex Christe, Redemptor, Cui puerile decus prompsit hosanna pium.

Intanto che il coro cantava, alcuni sagrestani, saliti sulla loggia esterna della facciata, davano al volo alcuni uccelli di varie specie, e segnatamente molte coppie di piccioni, che portavano certi cartocci legati alle unghie, affinché non potessero volar alto, e fossero costretti a calar presto a terra, il che porgeva comodo al popolo radunato in piazza, di prenderli e di serbarseli per delizioso cibo il giorno di Pasqua. Tre volte si ripeteva questa cerimonia durante la processione, dopo di che il Doge ed il suo seguito si ritiravano.

I piccioni non catturati, si rifugiavano nel tetto della Basilica di San Marco, o sotto ai piombi del coperto Ducale, e da quel momento in poi essi si tennero, quasi posti in salvo da ogni persecuzione. I veneziani si fecero un sacro dovere di non turbare oltre la tranquillità di quei pennuti. Il Governo volle concorrere con il popolo, per il buon essere di questi ospiti, ordinando che fossero loro apprestate alcune comode e ben disposte cellette, ed inoltre volle che un delegato dell’amministrazione dei pubblici granai facesse disperdere ogni mattina, in sulla terza, una certa quantità di grano per la piazza maggiore, e per l’altra dinanzi al palazzo Ducale. (1)

Da quei tempi iniziarono a proliferare i colombi di Piazza San Marco.

(1) GIUSTINA RENIER MICHIEL. Origine delle Feste veneziane. (MILANO 1829. Presso gli editori degli annali universali delle scienze e dell’industria.)

FOTO: dalla rete. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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