Un delitto a San Giovanni Grisostomo, nel Sestiere di Cannaregio

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Rio del Fontego dei Tedeschi (a destra la Riveta de l'Ogio) - Sestiere di San Marco

Un delitto a San Giovanni Grisostomo, nel Sestiere di Cannaregio

A Venezia il 2 settembre 1533 “se intese uno strano caso“. Un fruttivendolo, tale Zuane Pelanda che aveva bottega a San Giovanni Grisostomo all’insegna dei “Frutti di la Brenta“, trovata questione con la moglie e dato di piglio ad un coltello, l’aveva ammazzata. Non sapendo poi come nascondere il cadavere pensò bene essendo “gran pioza et le strade diserte, di butar la moier in canal et la butò a la riva piciola dil ponte di l’Olio“. Fatto il colpo andò a letto e dormì tutto di un sonno fino la mattina, raccontando poi che la moglie era andata al suo paese di Gambarare per assistere la madre gravemente ammalata. Ma due giorni dopo verso il tramonto, il cadavere della povera donna venne scoperto presso la riva del palazzo di sier Andrea Donà dalle “trezze” a Zan Zanipolo, e nella stessa notte d’ordine del Consiglio dei Dieci fu arrestato Zuane “frutariol” e rinchiuso nella prigione “Orba” del Palazzo Ducale.

Il patrizio Gabriel Venier, avogador di Comun, fu il primo che interrogò il Pelanda, ma questi rimase muto “come un pesce”, lo interrogò sier Andrea Tiepolo, capo della Quarantia, ma ebbe lo stesso risultato e alla fine la tortura non concluse di più “et il sassin non confessò mai el so delitto“. Però il mutismo ostinato di Zuane andava di pari passo con la sua pertinacia di non mangiare, e già al 20 settembre, quando fu condotto in Quarantia per il processo, erano ben quindici giorni di completo digiuno. Egli dinanzi ai giudici comparve come uno spettro, sostenuto dai birri e non parlò mai, soltanto alla lettura della sentenza di morte prima sorrise e poi pianse. Il patrizio Lion Viaro della contrada di “San Simeone piccolo” al vedere quelle lagrime pensò ad una confessione, ma senza risultato il delinquente non pronunciò una sola parola.

Il 22 settembre si doveva eseguir la sentenza, ma nella notte Zuane Pelanda moriva di fame e quando venne aperta la prigione per condurlo fra le due colonne lo trovarono già freddo cadavere. Sulla parte interna della porta del carcere egli aveva scritto con un pezzo d’intonaco: “L’ho copada mi per zelosia. Pase a l’anema soa“.

Il cadavere fu appeso alla forca e ad esempio vi stette due giorni. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 5 gennaio 1927.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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