Ponte de le Bande, sul Rio del Mondo Novo

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Ponte de le Bande, sul Rio del Mondo Novo - Castello

Ponte de le Bande, sul Rio del Mondo Novo. Calle de le Bande – Fondamenta Santa Maria Formosa

Ponte in pietra; struttura in mattoni e pietre, bande in ferro a volute. (1)

Il Ponte de le Bande unisce il piccolo campo dinanzi alla facciata maggiore della chiesa di Santa Maria Formosa con la Calle de la Guerra, chiamata anch’essa nella sua ultima parte verso il ponte Calle de le Bande.

Il ponte come tutti i ponte veneziani, prima del Quattrocento, era senza i parapetto, ma furono costruite le “bande de piera” nel 1398, quando nel mese di gennaio sier Piero Loredan, senatore e cavaliere, ritornando di notte da una festa in casa Donà a Santa Maria Formosa, salendo il ponte inciampò malamente cadendo in canale con grande spavento del servo che lo precedeva. Alle grida, accoorrere di gente, lumi accesi, ma il povero patrizio, impigliato nelle grosse vesti invernali annegava prima che giungessero i soccorsi, e la Signoria decretava dopo due gironi la costruzione “de li muretti laterali quali se chiamavano bande“.

Queste bande, che furono le prime costruite a Venezia, dettero fin d’allora il nome al ponte, che in addietro invece veniva indicato nelle nostre cronache con la frase generica: “el ponte de piera che buta in campo“.

Al Ponte delle Bande si lega il ricordo di una delle nostre feste più splendide sorta nel primo periodo della grandezza veneziana; una festa che durava parecchi giorni con regate, processioni, cortei, musiche, balli, funzioni religiose e banchetti; una festa, ricordata per la prima volta in un documento che porta la data del febbraio 1142 sotto il dogado di Piero Polani, originata da una piccola vittoria sui pirati dell’Istria, ampliata dala leggenda, esaltata dalla poesia.

Il famoso “rapimento delle spose veneziane” sebbene non sia ricordato dalle più vecchie cronache nostre, come quella del Sagornino, dell’Altinate, del Canale, dette origine nel dodicesimo secolo alla feste Mariane, istituite come narrano i documenti contemporanei “a devotione et consolatione di tutta la Venetia” e anche quando finirono nel 1379, causa la guerra di Chioggia, che occupava tutte le menti e assorbiva tutte le spese, rimase pur sempre fino alla caduta della Serenissima, la visita annuale del Doge alla chiesa di Santa Maria Formosa, debole e pallida ricordanza dell’antica magnificenza.

Però non solo la guerra di Chioggia concorse ad abolire le grandi e ricche feste Mariane, ma la cronaca Magno narra di un fatto terribile, accaduto nel 1379, e che ebbe anch’esso parte non poca in quella soppressione. In una barca sfarzosamente addobbata di seta, di arazzi, di bandiere e damaschi, stavano quattro Marie, circondate da dieci nobildonne, si vogava verso Murano dove aspettava uno sfarzoso corteo che doveva accompagnare le Marie ad una cerimonia nella famosa  abbazia di San Cipriano.

La barca uscì in laguna dal canale “de li Crosechieri“, oggi Rio dei Gesuiti, quando un turbine di vento si alzò improvviso, si dette forza ai remi, ma il vento cresceva sempre più, e tra l’isola di San Michele e quella di Murano, tratto pericolosissimo nella nostra laguna, ad una raffica impetuosa la barca si capovolse tra lo spavento e le grida delle povere donne. Cinque patrizie e quattro Marie annegarono, le feste di quel’anno furono sospese e l’anno dopo approfittando della guerra di Chioggia, su proposta di sier Paolo Valier, che in quella disgrazia aveva perso la sua unica figlia, vennero abolite.

Rimase la visita dogale di cui la cronaca Svaier racconta: “L’andar a S. Maria Formosa, fu istituì per essere successa la cosa dil ratto delle novizie el zorno di la Madonna delle candele, et attrovandosi allhora la giesa del nome della gloriosa Verzene Maria, fo ordenà andar li a honor suo et cussì se farà sempre“.

Dalla mariegola dei “casseleri” fabbricatori di casse per mercanzie o per corredi di sposa, abbiamo più minuti particolari circa questa visita dogale a Santa Maria Formosa, nella cui chiesa essi avevano altare, e racconta la mariegola, o statuto della scuola: “chel piovan è obbligado dar al Doge doi zuche de malvasia, con doi naranze maure, et dito piovan li dà doi cappelli de cartha o de paia (paglia) con le arme dil Papa et dil Dose, le quali zuche esso dose non accepteria mai senza le naranze“.

Il benconosciuto dialoghetto tra il doge e il gastaldo dei casseleri, forse non è mai avvenuto poichè nessuna cronaca di quei tempi lo riporta. Il gastaldo chiese al doge che come compenso al valore dei casseleri che avevano liberato “le novizie da le man de li corsari” fosse concesso il privilegio di una visita annuale al loro altare in chiesa di Santa Maria Formosa e il doge, scherzando con il candore di quei tempi primitivi, obiettò: “E se fusse per piovere? E se avessimo sete!” E i casseleri di rimando “Nui vi offriremo cappelli per coprirvi e vi daremo da bere“. E il patto fu d’ambo i lati mantenuto, nè mai finchè visse la Repubblica si astenne il doge di recarsi alla chiesa e il pievano sempre gli presentò, come voleva l’antichissima tradizione, i cappelli di paglia dorati e il vino di malvasia e gli aranci maturi.

Ma il doge doveva anch’egli offrire il suo regalo al pievano a tale notizia si legge nella cronaca Magno, conservata manoscritta nella nostra Marciana: alla vigilia del 2 febbraio di ogni anno, nel pomeriggio, il Serenissimo, preceduto dalle trombe d’argento, dai gonfaloni ducali, e seguito dal solito sontuoso e magnifico corteo partiva dal Palazzo Ducale al suono festos delle campane di San Marco. 

A questo suono usciva dalla chiesa di Santa Maria Formosa il pievano accompagnato dai preti della parrocchia circa una trentina, e subito due chierici distendevano sul ripiano del Ponte de le Bande, un grande lenzuolo di tela, con ai quattro angoli ricamato in seta rossa il leone “a moeca“. Appena il corteo del Doge imboccava la Calle de la Guerra squillavano le trombe d’argento, il pievano, seguito dai preti in cotta bianca, saliva sul ponte e si fernava presso il lenzuolo, il doge faceva altrettanto e dopo aver consegnato al pievano una moneta chiamata “bianca” i due cortei si runivano e scendevano in chiesa, mentre le campane della contrada suonavano a distesa. La moneta che il principe offriva, alcuni dicono fosse d’argento a somiglianza degli “aspri” orientali, ma Sebastiano Erizzo, dotto e celebre numismatico, vissuto nella prima metà del Ciquecento, affermava fosse di rame, di piccola valuta e coniata appositamente per tale cerimonia.

Finiti i vesperi in chiesa e consegnati aa uno scudiero ducale i due fiaschi di vino, le arance e il cappello di paglia, il pievano invitava il doge a nome “de li casseleri” ad un brve rinfresco nella sua canonica, “splendido ma breve” poichè prima che calasse la sera il corteo ducale ritornava a Palazzo.

Accanto al Ponte de le Bande ebbe sede nel 1505 la scuola dei Bombardieri, la quale aveva altare nella Chiesa di Santa Maria Formosa, altare che fu adornato con l’immagina della loro protettrice, Santa Barbara, il capolavoro di Pala il Vecchio, e di tale scuola esiste ancora, vicino al ponte, il pilo in pietra che serviva un tempo per il ricco standardo dei Bombardieri.

L’ultima vista alla chiesa e l’ultima cerimonia al passaggio del Ponte de la Bande avvenne nel pomeriggio del primo febbraio 1797, doge Lodovico Manin, e fu cerimonia di spensierata allegria per il concorso di dame e patrizi, per gran folla di popolo, per grida festose, mentre a Montenotte, a Millesimo, a Dego, tuonava il canone del Bonaparte.

Di quest’ultima festa, oggi nel nostro Civico Museo, si conserva il cappello di paglia che il parroco di Santa Maria Formosa dava all’ultimo doge della gloriosa Repubblica. (2)

(1) ConoscereVenezia

(2) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 18 maggio 1931

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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