Ponte de San Moisè, sul Rio de San Moisè

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Ponte San Moisè sul Rio de San Moisè - San Marco

Ponte de San Moisè, sul Rio de San Moisè. Calle Larga XXII Marzo – Campo San Moisè

Ponte in pietra; struttura in mattoni e pietre, balaustre in ferro sostenute da colonnine in pietra d’Istria. Su un fianco del ponte, al centro dell’arco, tre stemmi in pietra di Provveditori di Comun.

SAN MOISÈ (Parrocchia, Campo, Salizzada, Rio, Ponte, Calle Lunga, Piscina). Per quanto scrivono i cronisti, la chiesa di San Moisè venne edificata nel 797 dalle famiglie Artigera, e Scoparia, sotto il titolo di San Vettore. Essendo però di tavole, già nel 947 minacciava rovina, per cui fu rifabbricata a merito specialmente di Moisè Venier, che volle dedicarla al santo del suo nome. Altra rifabbrica ebbe dopo l’incendio del 1105, e l’ultima finalmente nel 1632, sul disegno di Alessandro Tremignon. La facciata è straricca di ornamenti, e mostra la decadenza dell’arte. Le figure che vi si scorgono sopra sono del Marengo, e rappresentano alcuni individui della famiglia Fini, a cui questa facciata costò 30 mila ducati. La chiesa di San Moisè era parrocchiale, ma nel 1810 divenne sussidiaria di San Marco.

In parrocchia di San Moisè abitò il celebro pittore Giacomello Dal Fiore, come si scorge dal suo testamento fatto il 2 ottobre 1439, in atti d’Ambrogio Baffo, pievano di San Polo. Egli, come aveva prescritto, fu sepolto nel chiostro del monastero dei Santi Giovanni e Paolo, probabilmente nell’ara ove prima erano stati sepolti Francesco e Livia suoi genitori. Avendo Ercole, conte di Montenero, ucciso un certo Chiodo presso la chiesa di San Moisè, venne appiccato con quattro suoi soldati nel 1549.

In questa parrocchia morì il 5 agosto 1552 il Francescano Matteo da Bascio, primo generale dell’ordine dei Cappuccini, o riposto fra i beati. In tale circostanza nacque fiera contesa tra il pievano di San Moisè, Baldassare Martini, ed i frati di San Francesco della Vigna, volendo il primo seppellire il defunto nella sua chiesa, nella loro i secondi. La vinsero questi ultimi. Si legge nei Casi Memorabili Veneziani, raccolti dal N. U. Pietro Gradenigo da Santa Giustina (Classe VII, Codice CCCCLXXXI della Marciana), che Matteo da Bascio soleva percorrere la città predicando, e riempiendola di rumori, e che un giorno, nell’ora di terza, quando sogliono i nobili assistere ai loro tribunali, fu veduto con una lucerna, ed un pennello camminare per le sale, come se cercasse qualche cosa perduta. Interrogato che facesse, rispose: cerco la giustizia. Perciò fu bandito a Chioggia, ma, reduce dopo due anni, un giorno che si era congregato il Consiglio di XL al Criminale, si fece avanti intrepidamente, e con voce orrenda esclamò; All’inferno tutti quelli che giustamente non amministrano lagiustizia! All’inferno tutti i potenti, che per forza opprimono i poverelli! All’inferno tutti quei giudici che condannano gli innocenti a morte!. Questa volta venne cacciato dalla sala, e l’avrebbe al certo passata male se non si fosse interposto il di lui amico Sebastiano Venier. Circa i miracoli attribuiti al B. Matteo da Bascio, vedi gli Annali dei Cappuccini del Boverio, ed anche il libro presente, ove si parla del Ponte dell’Angelo, presso San Marco.

Il sig. Luigi Pasini, diligentissimo Ricercatore dell’Archivio Generale, ci comunicò la seguente annotazione da lui scoperta nei Necrologi Sanitari: 1591, 22 Luglio. La sig.ra Veronica Francha de anni 45 da febe già giorni 20 S. Moisè. Sembra fuor di dubbio che costei sia la celebre letterata Veronica Franco, quella medesima che, fino dal 10 agosto 1564, trovandosi gravida, come disse di credere, per opera di un m. Jacopo di Boballi, testò, domiciliando allora in parrocchia di San Marziale, negli atti del veneto notaio Antonio Maria de Vicenti. Ecco le di lei espressioni: Lasso a m. Jacomo de Boballi el figliuolo over la figliuola che nascerano da mi, come a suo padre, sia o non sia, Dio scia il tutto. In questo testamento Veronica si afferma figliuola di Francesco Franco, e di Paola Fracassa, e nomina i fratelli Girolamo, Orazio, e Serafino. Nomina pure un Paolo Peruzo, suo marito (da cui probabilmente era divisa), raccomandando alla madre di farsi restituire la dote. Si osservi qui l’antico costume nelle donne incinta di fare le loro disposizioni testamentarie approssimandosi ai perigli del parto. Dall’annotazione mortuaria, nonché dal surriferito testamento, risulterebbe poi l’errore in cui cadde il p. Degli Agostini nei suoi Scrittori Veneziani, seguito dal Cicogna, calcolando, sopra la fede di un’iscrizione unita ad un ritratto di Veronica, che essa vedesse la luce nel 1553, ovvero 1554.

In parrocchia di San Moisè abitò pure Giovanni Contarini, buon pittore, nato nel 1549 da famiglia cittadinesca Veneziana. Egli andò alla corte dell’imperatore Rodolfo II, da cui venne fatto cavaliere. Passò quindi ad Inspruck, ma incolpato di avere goduto una dama di quella corte, dovette ritornare in patria. Qui lasciamo le parole al cav. Ridolfi, che così si esprime nella vita del pittore suddetto: Presa casa di nuovo in Venezia a San Moisè, si diede a dipingere, e vestendo l’abito corto con spada al fianco, e cappello pieno di piume, e collana d’oro al collo donatagli dall’imperatore, incontrassi una fiata in Marco Dolce, grande capitano di giustizia, che volle intendere con quale autorità portasse le armi, a cui Giovanni rispose che era cavaliere e di casa Contarini. Ma, a persuasione del Dolce, si dispose poi a cangiar abito ed a vestire la toga Veneta, e divenutogli amico, fece il di lui ritratto in piedi così naturale, che, portatolo a casa, gli corsero incontro i cani ed i gatti, facendogli festa, credendolo il vero loro padrone. Lasciando al Ridolfi la fede di quest’ultimo asserto, diremo che il Contarini diede in Venezia saggi non pochi del suo valente pennello. Egli, dopo aversi invaghito di una giovanetta, ed aver sofferto per essa incomodi e prigionia, morì nel 1605, essendo nel cinquantesimosesto anno di età.

Della Calle Lunga San Moisè fa cenno il (cod. LVIII, Classe XI della Marciana), col seguente racconto, posto sotto il 16 agosto 1743: Jeri sera in Calle Lunga a San Moisè, dando braccio alla N. D. Catterina Barbarigo il N. U. Nicoletto Gambara dalla Carità, urtò un barcarolo, dicendogli che desse luogo. Il barcarolo, o che non lo conobbe, o altro che si fosse, tratto tosto un coltello, gli aventò due colpi, dei quali uno lo colse, benché leggerissimamente, in un braccio. Non si è ancora saputo chi sia costui.

Altro avvenimento, successo in parrocchia di San Moisè, è così descritto dalla cronaca Moliti: Adi 15 marzo 1751, la mattina, fu trovata trucidata nel proprio letto la N. D. Vittoria Basadonna fu de s. Alvise da San Giacomo dall’Orio. Essa N. D. era in casa del N. U. Bernardo Gritti q. Marcantonio in Calle del Tagliapietra per andar al Ponte di Ca’ Baroni, né mai si è potuto venir in cognizione dell’interfettore, e li furono rubate quella notte diverse argenterie, et un sacchetto di zecchini, ma fu supposto questo furto esser stato commesso solo per poner la giustizia in dubbio, perché potevano rubare comodamente assai di più.

Il giorno 2G maggio dell’anno 1752, durante un fierissimo temporale, insorto verso le nove del mattino, un fulmine colpì la chiesa di San Moisè, e scendendo per la catena di ferro, da cui pendeva la lampada ardente dinnanzi l’altare di Madonna Vergine Addolorata, uccise il prete Valentino Piva, che a quell’ altare diceva messa, e la persona che alla medesima rispondeva.

Presso la Calle Lunga San Moisè abitava Isabella Teotochi Albrizzi, che Giorgio Byron appellò la Stael Veneziana, decessa il 27 settembre 1836. (1)

(1) GIUSEPPE TASSINI. Curiosità Veneziane ovvero Origini delle denominazioni stradali di Venezia. (VENEZIA, Tipografia Grimaldo. 1872).

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FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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