Festa di Santa Marta

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Gaspare Diziani. La sagra di Santa Marta. Ca’ Rezzonico, museo del Settecento veneziano Venezia

Festa di Santa Marta

Non vi è nulla in questa festa che richiami alla memoria né una segnalata vittoria, né una particolar devozione; e se porta un titolo sì venerabile, ciò è perché si celebra nel giorno di Santa Marta, e nella contrada che ne ha poi ricevuto il nome, la quale si stende sopra l’estremo lembo della città, che guarda il ponente.

In antico parecchie brigate sì recavano entro certe barche alla pesca della sogliola, il miglior pesce che si mangi in luglio, e sulla sera smontavano a terra, e là sul fatto facevano gozzoviglia sulla riva più prossima, godendovi l’aria fresca confortatrice delle forze illanguidite dalla fatica del pescare, non meno che dal caldo della stagione. Divenuta in appresso più ricca la popolazione, ed introdottavisi la mollezza, si lasciò l’opera della pesca ai poverelli, costretti ad esercitarla per vivere, ed il faticoso trattenimento di prima si cangiò allora in un singolare divertimento. Vi s’immaginò una cena generale, in cui signoreggiava, come signoreggia anche ai dì nostri, la sogliola, antica protagonista, nobilitata poi coll’ aggiunta di una salsa, detta volgarmente saor; e questa salsa poi, come assai spesso avviene, usurpando per se tutti gli onori, finì con divenire il Nume non solo delle altre varie vivande, ma, per così dire, di tutta la cena.

Quest’annuo spasso tanto più merita la nostra attenzione, perché è uno di quelli, in cui il buon popolo veneto più segnatamente offre in mezzo alla gioia più viva il quadro d’un popolo amico dell’ordine, della pace e della sociale armonia. Sembra, a dir vero, che sì gran turba non sia che una sola famiglia, i cui membri, benché infiniti, siano congiunti con un solo legame; e che uno stesso spirito, un principio stesso gli animi tutti, quello del comun piacere. Sentiamo noi pure certa dolce compiacenza in descrivere uno spettacolo interamente spontaneo e non ordinato, se non da quel sentimento che inspira l’universale piacere, e l’uso inveterato in questa città di fare delle corse sull’acqua: uso che rese il suo popolo ingegnoso più di qualunque altro per inventarle singolari e brillanti, e per eseguirle con desterità sorprendente. Ma il tempo che trasvola insieme col destino, cangia, distrugge, e null’altro per sciagura ci lascia, che rimembranze. Richiamiamo dunque a noi stessi ed ai nostri lettori questa scena interessante, come se ci fosse dinanzi agli occhi, benché altro di essa al presente non ci rimanga che languide tracce.

Il luogo principale di questa festa marittima, di questa cena generale è il Canal della Giudecca, le cui acque non si scorgono più che per intervalli, e quasi paiono altrettante strisce di fuoco agitate da remi, tanto grande é la copia di barche, che le ricoprono, e tanto raddoppiata è l’illuminazione sopra le barche stesse. Nella sera di Santa Marta il ricco si mostra, è vero, con grande splendore, ma non con fasto; e se impiega molto danaro nell’ornare la sua peota, noi fa per avvilire gli altri, ma per mostrare il suo buon gusto. L’ornamento primario delle peote consiste nei lumi. La mira è di accoppiare la magnificenza ad una disposizione elegante e simmetrica. Spesso sulla prua si collocano concerti di voci e di strumenti da fiato, li cui suoni ripercossi dall’acqua producono un delizioso effetto, che il silenzio della notte rende vieppiù seducente. Società numerose cittadinesche si uniscono insieme per porsi in altre grandi barche dette tartane; queste sono quelle dell’antico istituto, giacche servivano alla pesca, e sono quelle, che più particolarmente figurano in questa festa. Anch’esse brillano per la loro molteplice illuminazione, poiché le lunghe funi che servono al maneggio delle vele, sono tutte coperte di palloni variamente colorati. Altre pure ve ne erano di più piccole, con sopra dei padiglioni, degli archi formati di rami d’albero, delle ghirlande di fiori a più guise illuminate.

Fin la più infima barchetta del meschino pescatore è coronata di fronzuti rami intrecciati insieme con il suo pallone di carta, in cui arde un lumicino: in ciascuna di esse siedono attorno una mensa più o meno sontuosa, quei che si sono insieme riuniti per darsi in preda al diletto; e toccando i bicchieri, i toasts eccitati dall’amicizia, e dalla libertà promuovono la letizia comune. Il modesto artigiano nel suo battello circondato dalla famigliola assapora con gusto il suo piatto di pesce, ed applaudendo senza invidia ai concerti armonici delle peote e delle tartane, ch’egli accompagna, si crede di formar parte di quelle società. Egli gode con esse, o almeno quanto esse. Vedilo; ei ride di cuore al par di quegli strepitanti convitati, e le due candele che ardono ai due capi del suo legno entro i palloni, opera della sua industria, lo soddisfano egualmente, che la magnifica illuminazione atta ad offuscare lo splendore della luna, e rischiarante nel suo passaggio tutte le rive. A centinaia le leggiere gondolette seguono le barche maggiori; esse godono dello spettacolo ed insieme lo ravvivano, e tutto questo miscuglio di legni d’ogni specie forma una confusione che, anziché metter timore, riesce molto grata e piacevole a vedersi. Qui non ha luogo ne la vanità, né la gara, perché niuno aspira alla precedenza; la festa è per tutti, né alcuno ha il diritto di sopraffare gli altri per passar egli solo, ritardando l’altrui cammino, sospendendolo o facendolo torcere altrove. Si vedono fermi presso le rive mille battelli, anch’essi con eleganza forniti e illuminati, dove i vivandieri stanno somministrando i cibi; qualcuno ha pur anco la sua musica. Sopra le menzionate rive, che si dicono Zattere, le botteghe di caffè e le bettole sono piene zeppe di gente. Fuori delle loro porte stanno apparecchiate delle tavole; tutto è illuminato, sì che par giorno.

Ciò poi ch’è sommamente bizzarro, e in vivo modo palesa la semplicità del popolo, son le cucine ambulanti, e stranamente piantate qua e là per le vie. Un uomo schiera sul suolo i suoi corbacci di sogliole preparate per cuocersi. Sopra due pietre posa due fasci di legno incrociati, e un po’ di carbone acceso: versa alquante stille di olio entro una padella, e con grida e strilli insoliti invita chi passa ad approfittarsi di quell’apparecchio, che col fumo e coll’ odore provoca l’appetito. Diffidi cosa è il resistere a sì potente attrattiva; si arresta il passo, si prendono a sedili alcune panche, e così alla rinfusa si forma corona ad un desco. II saor è già pronto; che aspettar altro? si mangia con squisito piacere.

Per tutta la lunghezza di questa contrada si vede intanto un gran con corso di persone, che vanno e vengono sino alla piazza di Santa Marta, la quale forma prospetto al canale, e donde si può godere pienamente lo spettacolo delle barche. Le botteghe del saor e d’altri commestibili sono fornite con eleganza, e illuminate con buon gusto. E specialmente su quella piazza, che si trovano le cucine posticce, in cui spiccano qual secondaria vivanda i polli arrosto. Ivi un suono confuso di tazze, di piatti, ivi il cicalio e grido dei venditori misto a cauti incomposti ed a musicali strumenti. Ogni casa si cangia in taverna dove si mangia, si beve, e godesi allegramente in una felice armonia sociale e fraterna. L’osservatore il più rigido noi giungerebbe a scoprire in mezzo a questa immensa moltitudine riunita il menomo seme di discordia, la più leggera disputa, cosa ch’è propria soltanto del popolo veneto in tutte le sue feste per brillanti e numerose che siano, a segno che mai non si ebbe bisogno di chiamare il soccorso della forza pubblica; ed i magistrati gelosi di conservare in tutta la sua purità il candore di questa felice concordia, avevano la maggior cura, onde la forza non fosse mai visibile in questi giorni, tanto temevano di affliggere colla sua presenza dei cittadini, che si abbandonavano senza riserva alla confidenza generale, e agli inviti del piacere, riponendo la tranquillità di ciascuno sotto la sorveglianza degli altri propri concittadini.

Questa festa, o per dirla alla veneziana, questa sagra non finisce se non quando il sole comincia a riscaldar coi suoi raggi quelle teste un poco già riscaldate dal liquore di Bacco: ma nel partire si osserva la stessa tranquillità, che vi era nel venire, e da per tutto regna quell’amabile cordialità e quella dolce allegria, che dissipa le querele domestiche, e riconcilia i nemici nel modo più stabile. Ed infatti la miglior pace è quella che si fa col bicchiere alla mano. Perché i Monarchi si fanno tra loro la guerra? diceva un bevitor famoso: Perchè non tracannano mai insieme. (1)

(1) GIUSTINA RENIER MICHIEL. Origine delle Feste veneziane. (MILANO 1829. Presso gli editori degli annali universali delle scienze e dell’industria.)

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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