Sotoportego del Banco Giro a Rialto, nel Sestiere di San Polo

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Sotoportego del Banco Giro a Rialto (San Polo)

Sotoportego del Banco Giro a Rialto, nel Sestiere di San Polo

Il Sotoportego del Banco giro cinge da due lati la piazzetta di San Giacomo, ed è sormontato da una parte delle Fabbriche Vecchie. Acquistò il nome dall’essere stato sede del pubblico banco mercantile, detto Bancogiro.

I banchi di Venezia si istituirono nel 1157, ed erano da prima affatto privati. Quasi sempre venivano tenuti dai nobili, i quali, per altro, dovevano presentare all’ufficio dei Consoli sopra Mercanti un fideiussore fino alla concorrenza di certa somma. Nel 1524 si formò pure il Magistrato dei Provveditori sopra Banchi, e si presero altre cautele in proposito. Tuttavia, siccome parecchi banchieri fallivano, così nel 1584 venne istituito, per consiglio di Jacopo Foscarini, il banco di cui teniamo parola sotto la guarentigia del governo. “Codesto banco”, dice il continuatore del Berlan, “si poteva più propriamente intitolare banco di depositi, dappoiché non emetterà biglietti pagabili al presentatore, ma trasportava le partite da un nome all’altro, e restituita ai privati i loro depositi quandunque avessero voluto, avendo il Governo destinato a tal uopo fino dal principio i capitali occorrenti. Un senatore, col nome di depositario, ne teneva la presidenza, e tutti gli impiegati avevano obbligo di prestar sicurtà. Il banco si apriva sul mezzo giorno, e nel corso dell’anno si teneva chiuso straordinariamente quattro volte per fare i bilanci generali, nel qual tempo il danaro si serbava nella pubblica Zecca, ove lo si portava processionalmente lungo la Merceria; e tutti i bottegai, durante quel trasporto, dovevano star ritti sulla porta con picche ed alabarde in mano per esser pronti alla difesa del tesoro”.

“La scrittura di banco si teneva per lire, soldi, danari. La lira corrispondeva a dieci ducati d’argento; ma siccome la moneta di banco godeva l’aggio del venti per cento, così valeva dodici ducali. Il soldo corrispondeva a lire 4, soldi 16, della moneta corrente, ed il danaro a soldi 8 comuni. Per rendere più difficili le alterazioni nei giri del banco, si facevano con apposite cifre, dette dagli scrittori di allora figure imperiali, e trattandosi di un giro a debito dello Stato nol si poteva eseguire se non dietro speciale decreto del Pregadi”.

Presso il Sotoportego del Banco Giro si scorge un antichissimo tronco di colonna, sormontato da una lastra di marmo, da cui si bandivano le leggi al tempo della Repubblica. Porta alla sommità di detta colonna una piccola scala sostenuta da una statua ricurva, chiamata il Gobbo di Rialto, scultura di Pietro da Salò (anno 1541). Riguardo al Gobbo di Rialto scrive la cronaca Barba (Classe VII, Cod. LXVI della Marciana): “Jera costume in Venetia che, quando era terminato un per ladro, over per altro, ad esser frustalo da S. Marco a Rialto, li malfattori, come erano in Rialto, andavano a basar il Gobbo di pierà viva che tien la scala che ascende alla colonna delle grida; fu terminado che più questi tali non andassero a far tale effetto, et però fu posto in la colonna sopra il canton, sotto il pergola grondo in Rialto, una pietra con una croce, et uno S. Marco di sopra, aciò li frustali vadano de cetero a basar la d.a + et fu posta a dì 13 maio 1545″. Il S. Marco e la Croce si vedono tuttora.

Il Gobbo di Rialto ebbe un restauro nel 1836, postavi a salvaguardia una barriera di ferro. In tale occasione il Cicogna scrisse, nel giornale intitolato il Vaglio, uno spiritoso articolo, donde si desume che questa statua, al pari di quelle di Pasquino e Mortorio in Roma, venne fatta parlare a stampa fino del 1577 col “Dialogo del Gobbo di Rialto a Marocco dalle pipane delle colonne di S. Marco sopra la cometta alli giorni passati apparsa nel cielo”. Per Marocco qui si vuol intendere una di quelle piccole figure poste ai gradini delle colonne della Piazzetta di S. Marco, la quale tiene una cesta di poponi. Seguita il Cicogna ad annoverare altri dialoghi satirici e corrispondenze del Gobbo con Pasquino e Mortorio, che si pubblicarono nei secoli successivi. (1)

All’inizio del Sotoportego del Bancogiro (verso la Naranzeria) sono incisi nei marmi che formano le Fabbriche Vecchie alcuni proverbi; il primo dice: “NON DIR DI ME SE DI ME NON SAI PRIMA PENSA A TE E POI DI ME DIRAI” (parla prima di te stesso o poi parlerai di me); un secondo afferma: “L’INCHIOSTRI TROPPI NERI / O TROPPO BIANCHI / FA I NOMI ETERNI / E FA LE ANIME VIVE” (sono gli eccessi di una vita, o troppo morigerata o troppo dissoluta, che la rendono immortale); un terzo che è inciso sulla colonna d’angolo dove iniziano le Fabbriche: “VIVI SI / CHE DOPO MORTO / VAL ANCORA” (di quello che fai in vita sarai ricordato da morto); e poi un quarto si trova nell’angolo del Palazzo dei Camerlenghi verso la Fondamenta de la Preson, e più che un proverbio sembra una lode alla Madonna: “SU LE LABRA E NEL COR SEMPRE MI SIA IN VITA E IN MORTE IL NOME TUO O MARIA”.  (2)

(1) GIUSEPPE TASSINI. Curiosità Veneziane ovvero Origini delle denominazioni stradali di Venezia. (VENEZIA, Tipografia Grimaldo. 1872).

(2) ConoscereVenezia

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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