Ulisse, la ragione umana contro il destino, statua sul coronamento delle Procuratie Nuovissime
Le Procuratie Nuovissime (o Ala Napoleonica), vennero in parte erette a partire dal 1807, con i lavori di adattamento delle Procuratie Nuove a Palazzo Reale, destinato come residenza del Viceré d’Italia e Principe di Venezia Eugène de Beauharnais. Il progetto, degli architetti Giovanni Antolini e Giuseppe Maria Soli, prevedeva la costruzione della scala d’ingresso del palazzo sulle rovine della Chiesa di San Geminiano. I lavori, non finiti, terminarono nel 1813, a causa della sconfitta di Napoleone nella battaglia di Lipsia e dalla sua successiva abdicazione nel 1814.
Gli scultori Antonio Bosa e Domenico Banti scolpirono le quattordici statue che adornano il coronamento delle Procuratie Nuovissime, anche queste non finite (mancano le parti in metallo), che rappresentano, iniziando da destra di chi guarda: Achille, Ulisse, Licurgo, Temistocle, Pericle, Agesilao, Alessandro Magno, Carlo Magno, Giustiniano imperatore, Augusto, Cesare, Scipione Africano, Fabio Massimo e Camillo. Gli stessi scultori eseguirono anche le statue sul retro del palazzo che rappresentano gli Dei dell’Olimpo. (1)
Ulisse era figlio di Laerte re d’Itaca e di Anticlea. Si finse pazzo per non andare all’assedio di Troia, ma Palamede per provarlo, pose Telemaco, (figlio unico di Ulisse e Penelope) ancor bambino davanti ai buoi sotto l’aratro che Ulisse conduceva, il quale per timore di fargli del male, rivolse altrove l’aratro, palesando così la sua finzione, per cui fu costretto a partire.
Giovò molto ai Greci con la sua prudenza e la sua astuzia. Fu egli che andò a cercare Achille alla corte di Licomede, ove lo trovò in abito femminile, e lo scoperse col mostrare pietre preziose e armi alle donne di quella corte; perchè Achille scelse le armi non curandosi delle pietre preziose. Ulisse rapì il Palladio con Diomede, e fu uno di coloro che si rinchiusero nel cavallo di legno, contribuendo col suo coraggio alla presa di Troia.
Nel suo viaggio di ritorno verso Itaca corse molti rischi in mare, e lottò poi dieci anni contro la cattiva sorte. Naufragò all’isola di Circe, ove questa incantatrice lo trattenne qualche tempo, e da lei ebbe un figlio detto Telegono. Per ritenervelo più lungamente essa cambiò tutti i suoi compagni in porci, e abbandonata quell’isola naufragò in quella dei Ciclopi, ove Polifemo divorò quattro dei suoi compagni, e lo rinchiuse coi rimasti in una caverna e anche di qui, fortunatamente si liberò.
Si sottrasse accortamente agli incanti delle Sirene, e partendo dall’isola Eolia, Eolo in segno dì benevolenza gli donò alcune pelli, nelle quali stavano rinchiusi i venti, ma i suoi compagni spinti dalla curiosità le aprirono, e i venti fuggendo sollevarono un’orribile burrasca, che gettò Ulisse sulle coste dell’Africa nel punto in cui stava per giungere in patria.
Naufragò finalmente per l’ultima volta, perdette i suoi compagni e le sue navi, e a stento egli si salvò su una tavola, giungendo così dopo tante peripezie in Itaca, senza essere riconosciuto da alcuno, e qui si mise fra gli amanti di Penelope sua moglie, facendo le prove all’arco, che a chi l’avesse teso dovevasi dare in premio Penelope, ed essendo riuscito a tenderlo, si fece conoscere, rientrò nel seno della sua famiglia, e uccise tutti i rivali.
Qualche tempo dopo rinunciò il regno a Telemaco, avendo inteso dall’oracolo che doveva perire per mano di suo figlio, e fu veramente ucciso da Telegono. Fu posto nel numero dei semidei. (2)
(1) ConoscereVenezia
(2) Giuseppe Ronchetti. Il Dizionario Illustrato dei Simboli. Ulrico Hoepli Editore Milano 1922
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