La famiglia Zane, una famiglia poco nota
La Calle Zane a San Stin (San Stefano Confessore), ricorda la famiglia Zane che aveva il suo palazzo in fondo alla calle, come afferma il Coronelli nelle sue “Singolarità di Venezia“. Infatti il palazzo Zane, costruzione classicheggiante del Seicento di Baldassare Longhena, prospetta con la sua facciata principale il Rio de Sant’Agostin (già Donà) e perciò qualche storia seicentesca parlando della congiura di Baimonte Tiepolo accenna che Baiamonte aveva le sue case “a sant’Agostino, in faza dove adesso è ca’ Zane, sul canton del rio“.
Sull’area dove più tardi doveva sorgere il palazzo, la famoglia Zane, che alcuni cronisti dicono erroneamente fosse un ramo degli Ziani che ebbero due dogi, Sebastiano e Piero, aveva anticamente la sua casa “da statio“, e si legge nel libro “Presbiter” che il 30 dicembre 1310 fu concesso ad Andrea Zane di fabbricare un ponte che dalla casa mettesse in Campiello del Remer a Sant’Agostino, ponte che con sorgere del palazzo, per non guastare la linea architettonica veniva distrutto.
Il 13 maggio 1642 venne inaugurata la nuova costruzione degli Zane con grandi feste alle quali parteciparono i patrizi più cospicui della città e perfino il patriarca Federico Corner il quale volle benedire egli stesso il fabbricato in memoria e ad onore del suo collega Matteo Zane che era stato patriarca tra il 1601 e il 1605.
Furono splendide feste: rinfreschi, banchetti, balli, musiche e canti sul canale e nel grande cortile del palazzo, si bandì un grande pranzo a cento poveri della contrada con gettito al popolo di confetti, dolci e ciambelle.
Ma il palazo nuovo dell’antica famiglia parve le portasse disgrazie: l’ultimo illustre personaggio fu Domenico Zane il quale si rese benemerito nel 1653 per la sua ambasceria di Spagna; ingegno pronto ed acuto, eloquenza a volte ardita ma spesso prudente, cauto nel giudizio, energico nelle risoluzioni, Filippo IV lo prese lo prese in gran simpatia, lo creò cavaliere e gli offerse in dono l’arma di Castiglia da inquadrarsi nello stemma degli Zane.
La Repubblica per i suoi servigi elesse sier Domenico procuratore di San Marco e fu questo l’ultimo raggio di sole per la nobile famiglia, ma in pari tempo fu anche l’inizio della rovina poiché le feste per il famoso ingresso costarono molto e sul palazzo del Longhena calò quasi una nebbia, serate tristi, giorni ancora più tristi, una crisi terribile economica colpica la famiglia, finché nel 1723 il palazzo venne venduto ai Venier, ma dopo circa cinquant’anni anche i Venier lo cedettero ai conti Collalto che lo abitarono per un po’ di tempo e poi lo affittarono.
Ultimo che vi alloggiò fu uno scultore, il maggiore che l’Ottocento veneziano ricordi, tempra di artista veramente grande, quanto incompreso e osteggiato dai contemporanei: Luigi Borro di Ceneda. Il suo capolavoro è il monumento a Daniele Manin, il più bel monumento moderno che abbia Venezia.
Il palazzo degli Zane, dopo che l’ebbe abitato Luigi Borro, divenne nel 1879 “Scuola Tecnica Livio Sanudo“, cosmografo e geografo insigne veneziano; poi con la riforma Gentile “Scuola complementare”.
Così finiva il palazzo degli Zane, e alla caduta della Reppubblica la famiglia patrizia era divisa in due rami: quello di San Paternian e quello dei Tolentini, il primo aveva un solo rampollo, sier Nicolò Carlo figlio di Francesco, mentre l’altro ramo si estinse nel 1798 in una donna, Bianca Maria maritata col nobile Girolamo Fini di Santa Maria Zobenigo.
La famiglia Zane non fu certamente una tra le più cospicue famiglie veneziane; divenuta ricca con commercio volle in quel secolo rovinoso che fu il Seicento camminare a pari con le grandi casate e trovò presto la rovina, l’abbandono e la fine. (1)
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 6 settembre 1931
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