Domino Federigo Grisogonis, “el strologo zaratino”

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Campiello allo Spirito Santo. Sestiere di Dorsoduro

Domino Federigo Grisogonis, “el strologo zaratino”

Anche a Venezia verso la fine del Quattrocento e nei primi anni del secolo seguente erano molto diffuse le arti magiche, la fede nelle influenze degli astri, le ricerche delle pietre filosofali, le misteriose pratiche per scoprire nel futuro il volger fatale delle vicende umane, e a queste superstizioni, pregiudizi, sortilegi concorrevano anche uomini di molta cultura e qualcuno tra gli stessi più gravi magistrati.

Così narra Marin Sanudo che nel 1512 si sparse tra i patrizi veneziani la notizia che un tale venuto da Zara dava molti responsi profetici sui futuri avvenimenti politici e si diceva che parecchi di essi si erano avverati con incredibile esattezza.

Era questi “uno zaratino chiamato domino Federigo Grisogonis doctor“; abitava in campo dello Spirito Santo sulla Fondamenta delle Zattere vicino al convento delle monache Agostiniane, ma le sue profezie di cose future le rivelava in una casa a San Giovanni Laterano, attigua al vecchio oratorio dei canonici Lateranensi. Egli diceva che le sue predizioni venivano da Dio, “et se Dio mente, lui mente“, ma invece le sue profetiche conseguenze “le havea poi da certe donne si tien per sibile” che si raccoglievano in quella casa “a san Lateran” due o tre volte alla settimana e che il vicinato aveva battezzato “per le strighe de domino Grisogono“.

Il 29 maggio del 1512 giunse al doge, il Serenissimo Leonardo Loredan, e all’eccellentissimo Collegio, una nota del profeta di Zara con la quale si partecipavano alcune profezie che sarebbero avvenute entro quell’anno, profezie di indole politica “et di grandissima importantia“.

Il doge, passando la nota al segretario del Collegio, “feva dar sacramento nulla si dicesse” e il segretario in mezzo a un silenzio profondo lesse: “che a dì 8 zugno proxximo questa terra haverà una pessima nova, sarà gran pianti et ululati: che il Re di Franza non pol perdar questo anno, s’il combatesse con tutto il mondo, per haver le stelle propicie; che il re di romani non farà ni tregua ni pace con venitiani questo anno; che il re di Spagna ne tradisse et è gran nostro nimico et si scoprirà da poi la mità di l’anno nostro inimicissimo; che il papa sarà cazado di Roma et che la Signoria perderà il stato di terra, zoè Padova e Treviso“.

Quello che impressionò più di tutto l’eccellentissimo Collegio, fu la prima predizione, il pericolo ignoto e così vicino per il quale “saria gran pianti et ululati” e nonostante “il sacramento dato di nulla dir“, la notizia fu ben presto conosciuta da quasi tutti i patrizi e da molti cittadini.

Lo stesso Sanudo, spirito forte e che non credeva a queste predizioni, pure vedendo in tutti una grande preoccupazione per il profetato disatro, scriveva: “E’ assae male dir queste cosse a la terra, et non seguendo el pronostico, domino Grisogonis meriteria gran punition“. E difatti il Consiglio dei Dieci, su proposta di uno dei Capi, sier Gasparo Malipiero, ordinò a missier grande di tener d’occhio il profeta zaratino e di tenersi pronto a tradurre in atto un qualsiasi ordine gli venisse dato dal tribunale.

Sorse alfine l’alba del giorno 8 di giugno: come si era disposto dal Collegio fin dal mattino giunsero i corrieri dal campo, le notizie erano ottime, le nostre truppe avevano avute alcune scaramuccie coi soldati di Francia e la vittoria era rimasta al campo veneziano “tanto che si vede il prosperar di questo“, e così per tutta la giornata continuarono le buone notizie.

Il 9 giugno “dal Consiglio di Diese fo ordinato de retenir domino Grisogonis et fo mandato il capitano per haverlo in le man“, ma il furbo profeta che aveva visto cadere la sua più importante predizione e che già s’immaginava del brutto tiro che voleva giocarli il Consiglio, si era rifugiato nel convento dello Spirito Santo sotto la protezione del diritto d’asilo. “Et poi una notte si partì” e così domino Federigo, “el strologo zaratino” non mise più piede nella Dominante sapendo bene che lo spettava la prigion “Orba“, una delle peggiori del Palazzo Ducale. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 11 febbraio 1932

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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