L’andata del doge alla Basilica della Salute per la festa di Sant’Antonio

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Francesco Lazzaro Guardi. Il Doge alla Basilica della Salute. Musée du Louvre (foto dalla rete)

L’andata del doge alla Basilica della Salute per la festa di Sant’Antonio

Venezia ebbe sempre un culto speciale per il grande Taumaturgo di Padova, e sebbene il santo non avesse un tempio proprio nella Dominante, poichè la chiesa di Castello, demolita per la costruzione dei Giardini Pubblici, era dedicata a Sant’Antonio Abate o del Fuoco, pure quasi ogni chiesa aveva il suo altare consacrato al miracoloso francescano patavino.

Anche nella basilica di Santa Maria della Salute sorge un altare dedicato a Sant’Antonio di Padova sulla cui mensa si venera chiuso in un superbo reliquiario l’avambraccio del Santo, trasportato da Padova a Venezia per decreto della Repubblica il 9 giugno 1652, e qui deposto con solenne magnifica funzione dal doge Francesco Molin accompagnato dalla Signoria, dal patriarca Giovanni Morosini e dal Primicerio di San Marco.

Ma nuova gloria taumaturgica spettava alla santa reliquia: dopo sette lustri e precisamente l’undici agosto 1687 giungeva a Venezia a voga arrancata una feluca, nave piccola e sottile, di corso veloce, recando la notizia della conquista di Patrasso, di Lepanto, di Corinto tolte ai Turchi dall’armata veneziana di cui era capitano generale Francesco Morosini, che sebbene tre anni prima proposto al principato per la morte di Alvise Contarini pure non era stato eletto poiché tutti ammirando il valore, la sapienza, l’audacia lo avevano credito più degno per la sua gloria e per quella della patria di continuare nel comando dell’armata.

Le notizia delle splendide vittorie quando vennero lette nel Maggior Consiglio destarono un entusiasmo non mai veduto, e quando s’intese dell’assedio e della presa di Castelnuovo in Dalmazia, dove infieriva terribile la peste, ma, quasi miracolo, l’armata veneziana ne andò sempre immune, un solo grido partì dai milleduecento patrizi: “Sant’Antonio ha fatto il miracolo” poiché in quei giorni cadeva l’anniversario del Santo.

La seduta fu sospesa, il doge Marcantonio Giustinian scese con tutti i patrizi nella chiesa di San Marco dove fu cantato il “Te Deum“, mentre le campane suonavano a festa e in Piazza il popolo esaltava la lieta novella con grida, canti e musiche. Il giorno stesso si riuniva il Senato e decretava che “sotto la pala rappresentante Venezia ai piedi di Sant’Antonio nella chiesa di santa Maria della Salute fosse posta una tavola d’argento cesellata a ricordo del lieto evento di Castelnuovo e l’altare venisse ogni anno visitato dal doge in forma solenne“.

E così avvenne, “et ogni anno, il 18 giugno, Sua Serenità si porta ad udire la santa Messa nella chiesa della Madonna della Salute, et a venerare la insigne Reliquia di detto Santo, indi ritorna a san Marco, et tiene a Banchetto gli Ambasciatori, la Signoria, le Presidenze, gli Eccellentissimi Quaranta Criminal, gli Savi agli Ordini attuali et uscidi“.

Il giorno di Sant’Antonio di Padova era per la città fetsa solenne, non c’era fedele che non portasse la sua candela agli altari del Santo nelle varie chiese, non c’era parrocchia che non avesse la sua piccola sagra. E questa fede non venne mai meno tanto che la storia ricorda un tale Giambattista Occhion che nel suo testamento lasciò alla chiesa di San Cassiano cinquecento ducati per l’istituzione “de li nove martedì“, chiamati volgarmente “i marti di sant’Antonio” che venivano immediatamente dopo la festività del 13 giugno e in cui si dovevano celebrare alcune sacre funzioni in onore del Taumaturgo.

In quei nove martedì la chiesa era parata a festa; al mattino messe solenni e nel pomeriggio predica grande in cui si esaltavano le virtù e i miracoli antoniani. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 12 giugno 1932

FOTO: dalla rete. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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