Il gioco dell’impallo, un gioco d’equilibrio sul Campanile di San Marco (*)
Nelle feste degli ultimi giorni di carnevale, alla presenza del doge che vi assisteva dalla loggia del Palazzo Ducale verso la Piazzetta, venivano eseguiti anche numerosi giochi di equilibrio, tra i quali celebrati erano quelli che si chiamavano “impalli“. Questi consistevano in esercizi pericolosi di acrobatismo che venivano fatti per lo più sopra l’Angelo del Campanile di San Marco o sul Leone di marmo dell’attico dello stesso campanile, a mezzodì, ed erano giochi di straordinario equilibrio e di profonda attenzione: “metter la testa sopra l’aureola dell’angelo o del Leone e spinger le gambe in aria a perpendicolo sostenendosi con le sole mani, sventolare stando in piedi sopra l’Angelo una bandiera di San Marco, e tanti altri giuochi che facevano spavento e davano brividi di paura“.
Nel febbraio del 1760 Giovanni Bailo, della celebre famiglia veneziana che dette nel Settecento i più famosi equilibristi, frequantava assiduamente la scuola degli “Sforzati” situata a San Fantino, e dove si allenavano per le prossime feste di fine carnevale equilibristi, acrobati, pugilatori. Il giovane Bailo prendeva parte agli esercizi di equilibrio e tanto era valente che nel pomeriggio dell’ultima domenica di carnevale, 10 febbraio 1760, acquistato del pane, delle castagne e del vino, si recò, narra un codice del Cicogna, “verso il campanile di san Marco ostinado nel capriccio di voler fare due impalli sulle ali del Leone marmoreo sora la cella delle campane dalla parte di san Giorgio“.
La piazza era tutta gremita di gente e di maschere, suoni di trombe e di tamburi fendevano l’aria, ma quando giunse Giovanni Bailo, preceduto da nove o dieci compagni, che gridavano a squarciagola: “Impallo! Impallo!” la folla cominciò a tacere e guardo il coraggioso che si cimentava nell’arduo esercizio.
Giovanni salì sul campanile, dalla cella campanaria uscì sull’attico, “o sia piedestallo della guglia“, raggiunse il Leone simbolico verso San Giorgio “e seduto sopra le alle comiciò a mangiare il pane e le castagne“. Finito il pasto, montò sul dorso del Leone e così in piedi, a quasi ottanta metri dal suolo, bevette tutta la sua bottiglia di vino. La folla in Piazza guardava ammirata e fino a lui saliva un lieve rumore di applausi per i due “impalli” compiuti. Egli allora volle farne un terzo “e con temeraria presunzione montò sopra il diadema (aureola) del Leone, ma nel voltarsi, il vino bevuto non li permise l’equilibrio e tracoccò abasso e si accoppò“. Un urlo partì dalla folla: i miseri resti vennero subito raccolti e dopo due ore erano già sepolti nel cimitero di San Pietro di Castello. Per quella sera a San Marco tacque la baldoria carnevalesca. (1)
(*) Impallo: corruzione di “impalato”, si dice di uomo che sta ritto e fermo.
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO. 9 agosto 1923
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