Le regalie fatte al Doge, una espressione di affetto al Serenissimo

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Paris Bordone. Presentazione dell'anello al doge. Gallerie dell'Accademia (foto dalla rete)

Le regalie fatte al Doge, una espressione di affetto al Serenissimo

Il doge riceveva, per diritto o per consuetudine, una grande quantità di regalie. Queste regalie erano, entro certi limiti, un’espressione di affetto, un’immagine dell’umiltà del principe che non disdegnava di ricevere le primizie del campo, dell’acqua, dell’aria, e gli antichi Veneziani si vantavano, di poter offrire al proprio principe, quasi a ricambio delle cure e dei sacrifici suoi, i prodotti delle feconde loro isole.

Le regalie erano in perfetta armonia con la costituzione repubblicana, il doge, specialmente nel medio evo, rappresentando più che un principe, un capo supremo, era, perlomeno nei primi secoli, il padre del popolo. Ma in generale, lasciando l’apparenza del tributo, si andò togliendo dalle regalie il valore intrinseco. Bastava l’atto dell’offrire, più gentile quanto meno il presente era grave al donatore, e più lontano dalla materialità del prezzo, a meno di non umiliare chi lo riceve. Le regalie antiche del doge, erano di cose mangereccie, di lavori e prodotti delle arti dei vetrai, dei merciai, degli acconciatori di pelli, fustagneri, guantai, fabbri, varoteri, ecc. , non solo al doge ma anche alla dogaressa. Queste regalie costituivano un diritto del doge, fosse pure di consuetudine, e queste dovevano essergli corrisposte  esattamente come prevedeva la tradizione.

In un vecchio libro di Promissioni Ducali si elencano le regalie che il Doge poteva e doveva ricevere:  da Parenzo a Pasqua quattro castroni con la lana suso; da Muggia ogni anno due anfore e mezza di buona ribolla o soldi 50 di grossi; da Trieste 5 anfore di ribolla o soldi 20 di grossi; dal patriarca di Aquileia il Giovedi grasso 12 porci (maiali) e 12 pani di uno staio l’uno; dal Gastaldo dei bicchierari da Muran nella festa della Madonna delle Scole 100 inghistare (boccali) grandi, 100 piccole e 200 gotti (bicchieri); dalle monache di San Zaccaria e San Lorenzo due mersori di calissoni (panieri di ciambelle) per monastero, in 17 volte all’anno; dal Gastaldo di San Nicolò dei Mendicoli ogni anno 2400 cievoli lotregani in tre mastelle, per i Giudici del Proprio e per il doge 200 cievoli salati, nel giorno di Natale 20 paia di buoni clossi; dal Gastaldo dei Marzeri una sacca di velluto cremesin con l’arma del principe e dentro la tasca lire 8 di soldi di zecca; da quello dei Casaroli una pezza di formaggio dolce; da quello dei Guantai 15 paia di buoni guanti, e  all’acconciatura delle pelli di palazzo; dal Gastaldo dei Bombasi, a Natale 4 libbre di pepe; dal Gastaldo dei Fustagneri a Pasqua una mezza pezza d’intima buona per far letti; dal Gastaldo dei Varoteri un maestro per acconciare le pelli del doge, ed altri di palazzo; dal Gastaldo dei Oresi, nel giorno di San Stefano, due pernici; dal Gastaldo dei Barbieri un barbitonsore (barbiere) buono per i servizi di palazzo; dai Gastaldi dei Marangoni e Calatafai un maestro per ciascuno, per il Bucintoro e ogni altro naviglio di palazzo per tre giorni, ogni anno 15 maestri per acconciare il Palazzo Ducale; dal Gastaldo dei Fabbri la inferratura dei bovi il Giovedi grasso; dal Gastaldo dei Becheri a Pasqua cinque agnelli; dalla Scuola dei Botteri la riparazione di tutte le botti del doge ad ogni sua richiesta, ma il serenissimo era obbligato a fornire loro i cerchi; dal Gastaldo di Poveglia ogni anno per il Giovedi Santo quattro passere (sogliole) grandi; dal Gastaldo di Pelestrina, a Natale 16 galline, da Carnevale 6, da Pasqua 6; da Chioggia, a Natale 20 paia di buone oselle (anitre selvatiche) grandi, un caratel di buon vino dolce trebian, una gondola, fieno ed ogni altra regalia nell’esser ricevuto quando va alla caccia; da Corte e Piove di Sacco per ciascuna, lire 100 di buon lino spulato; dal monastero di Brondolo a Natale un porco da libbre 70 e più; dalla Torre delle Bebbe 14 galline a Natale e a Pasqua; da Cavarzere a Natale, nel Carnevale e a Pasqua 25 paia di galline per volta, ed ogni anno ai suoi tempi 100 piccioni e libbre 40 di legumi; da Loreo a Natale, Carnevale e Pasqua 48 paia di galline.

Alle regalie gastronomiche concorrevano anche alcune magistrature e il clero: l’ufficio delle Rason vecchie dava dodici maiali, quello del Sal trenta foleghe grasse, il patriarca di Castello trenta capponi e quindici paia di “oselle“; un maiale da duecento libbre il convento di Santo Spirito e uno da centoventi quello di Sant’Antonio. Altri monasteri fornivano dolci, ciambelle, confetti: nella vigilia di San Stefano il convento di San Giorgio offriva al doge cento “calisoni” (ciambelle) “et quattro guastade (grandi caraffe di vetro) con l’arma del Serenissimo, doi piene de moscatello et doi de vin de marche“, e quello di San Zaccaria dava ogni anno “in dodese volte doimila calisoni et seicento pignocade“.  Il piovan di Santa Maria Formosa era tenuto a dare, alla vigilia delle Madonna candelora, due zucche di moscatello e una di buon vino di marca, con un’arancia per zucca, e due cappelli di carta dipinti con l’arma del Doge, e questa regalia doveva essere portata, al suono dei piffari, fino nelle sale private del doge; tutti i monasteri, di Venezia e fuori Venezia nelle acque salse, erano obbligati nello stesso giorno della Candelora, a portare un candelotto in regalia al doge. Le sei Scuole grandi, oltre al candelotto, dovevano portare, la Domenica delle Palme, anche una palma di seta.

I fruttarioli dovendo presentare al doge nel mese d’agosto del primo anno del di lui principato un regalo di meloni (poponi). Solevano nel giorno determinato riunirsi in Campo di Santa Maria Formosa, e per la Merceria, e per la Piazza di San Marco, preceduti dallo stendardo di San Nicolò o da trombe, tamburi, e mazzieri, recarsi in corpo a palazzo, portando i poponi in grandi ceste infiorate, e sopra argentei bacini. Introdotti nella Sala del Banchetto, complivano il doge per mezzo del loro avvocato, poi gli facevano offrire da due putti un sonetto, ed un mazzolino di fiori, e finalmente fra mezzo le grida di “Viva il Serenissimo!” consegnavano i poponi allo scalco ducale.

Delicato argomento era quello dei doni e delle regalie, e vi provvidero ripetutamente i Correttori, onde il doge e i suoi, comunque, a dir cosi, sorvegliati dalla Signoria e dai vari magistrati, non facessero servire il proprio potere a mezzo di ricambiare presenti ed uffici. (1)

(1) B. Cecchetti. Il doge di Venezia,  Tipografia Naratovich 1864; Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 8 maggio 1925 e 10 ottobre 1923; Nicolo da Rio. Notizie d’Antiche Costumanze, diritti e doveri dei Dogi di Venezia. Padova 1840

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