La festa per la liberazione della città di Scutari, andata del Doge alla Chiesa di Sant’Antonio di Castello e all’Ospedale di Gesù (17 gennaio)
La Repubblica Veneta dopo aver liberata nel 1474 la città di Scutari nell’Albania dall’assedio dei Turchi pensò di erigere a Venezia un ospizio dove fossero ricoverati e mantenuti i marinai resi inabili al servizio per ragioni di età o per ferite riportate in guerra.
L’idea fu subito accolta con entusiasmo; il Senato unanime decretò la costruzione dell’edificio il 7 settembre 1474, sopra un terreno vacuo, dove attualmente sorgono i Pubblici Giardini, attiguo al Seminario ducale, confinante ad oriente con la chiesa di Sant’Antonio di Castello, e concorsero all’opera, altamente civile, anche i più ricchi patrizi, tra i quali, ricordano le cronache per la sua magnificenza, il vecchio senatore Pasquale Donado che dette per la fabbrica cinquemila ducati quale fondo dotale per l’ospizio. Nel gennaio del 1475, Maffeo Girado, patriarca di Venezia, con solenne cerimonia, pose e benedisse la prima pietra.
L’ospedale, sebbene fosse sotto la giurisdizione del “Magistrato sopra Ospedali e Luoghi Pii“, aveva ad onore dei ricoverati, l’immediata protezione del doge, il quale ogni anno nel giorno 17 gennaio lo visitava solennemente. Quel giorno era festa nazionale per Venezia; si applaudivano i vivi che col loro ardimento avevano difeso la patria, si veneravano i morti che col loro olocausto avevano attenuto la vittoria, e dopo, ascoltata la messa nella chiesa di Sant’Antonio, splendidamente adornata di arazzi e drappi d’oro, il Serenissimo, accompagnato dalla Signoria visitava l’ospedale di Gesù, l’asili sacro del valore, dell’audacia, del sacrificio.
I marinai, nelle loro nuove uniformi ospedaliere, lo aspettavano sorridenti e festosi, e mentre il vecchio principe passava in mezzo a loro, “et li comandadori“, specie di uscieri ducali, dispendavano dolci, frutta e bottigliette di vino, i superstiti del mare gli baciavano il lembo della veste, gli toccavano le grandi maniche pendenti ornate di ricami e di gemme, e i più arditi gli baciavano timidamente le mani.
Partito il doge la folla del popolo entrava nell’ospedale e quasi ognuno dei visitatori recava il suo regalo e le gentili offerte venivano raccolte in grandi ceste: verso il tramonto un banchetto rallegrava e chiudeva la festa e venivano allora distribuiti tra i ricoverati i doni raccolti.
Nel 1687 l’ospizio di Gesù e l’attiguo convento di Sant’Antonio soffersero un grande incendio; furono rifabbricati; solo nel 1807 si demolinoro completamente per ordine dell’imperatore Napoleone che volle, disse lui, dare “alla sua buona e cara città di Venezia, un pubblico luogo di gradito passaggio, e di svago campestre“. (1)
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 5 giugno 1932
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