La Festa di Santa Giustina, per la vittoria di Lepanto
Il 7 ottobre era la festa di Santa Giustina, la santa vergine e martire passata a Roma a fil di spada nel 304 per ordine dell’imperatore Massimo, il cui corpo riposa a Padova nella Basilica a lei dedicata.
Questa festa aveva a Venezia una singolare importanza poiché in quel giorno, in quello spazio di mare che corre tra il golfo di Laerte e quello di lepanto, in vista delle isolette Curzolari, poste non lontano dal promontorio di Azio, avveniva nel 1571 la famosa battaglia di Lepanto in cui i Veneziani ebbero tanta parte, condotti dal venerando Sebastiano Venier.
Il doge con la Signoria in questa ricorrenza visitava la chiesa di Santa Giustina e l’attiguo convento di monache Agostiniane, ascoltava la messa e distribuiva alle monache quale regalo commemorativo una moneta d’argento chiamata “Giustina” coniata ogni anno a celebrazione della vittoria con l’epigrafe “Memor ero tui, Justina Virgo“, mi ricorderò di te, Giustina vergine.
La chiesa dedicata alla santa era una delle più antiche parrocchiali di Venezia, eretta, si diceva, dal vescovo San Magno nel settimo secolo; rifabbricata nel 1219 da Ugolino cardinale Ostiense, legato apostolico presso la Repubblica e che fu poi papa Gregorio IX; restaurata nel Seicento da Baldassare Longhena che ne rifece la facciata in cui dimostrò una chiara e diretta ispirazione del tradizionale tipo costruttivo veneziano; chiusa e devastata dopo la caduta della Serenissima e ridotta più tardi a Casa di educazione militare; oggi finalmente sede del Liceo Scientifico.
Dapprima venne officiata dai canonici regolari di Castello, poi da quelli di San Salvatore, ai quali per decreto apostolico dell’anno 1448 subentrarono le monache Agostiniane, tratte dal monastero degli Angeli di Murano. Quanti cambiamenti, quante gloria e quante miserie videro la chiesa e il convento di Santa Giustina.
Nel mattino del 7 ottobre il piccolo campo dinanzi alla chiesa era tutto un allegro sventolar di bandiere caudate, di arazzi di seta, di drappi d’oro, e quando alla riva approdavano i peatoni ducali dai lussuosi tappeti d’Oriente, le monache uscivano dal convento incontro al Serenissimo, squillavano le trombe d’argento e le campane suonavano a distesa.
Il doge, seguito dalla Signoria, dai Procuratori di San Marco, dagli Ambasciatori e dalle alte autorità dello Stato, entrava in chiesa ad ascoltar la messa di ringraziamento, passava poi nel convento e nella sala maggiore, quella delle adunanze, tutta adorna di ori e di piante da sembrare un giardino, distribuiva le “Giustine” mentre dalle monache veniva offerto al corteo “scalette“, confetti, dolci e vino moscatello bianco.
Più tardi, verso la fine del Seicento, la cerimonia subiva una modificazione: il doge sbarcava dai suoi peatoni alla riva del Campo di San Giovanni e Paolo “et visitava la chiesa di san Zanipolo, in loco delli 26 giugno in memoria della vittoria ai Dardanelli, et poi haver pregato si portava per Barberia de le Tole, tutta in grande festa, a santa Giustina“. Al tramonto le solite processioni nelle due parrocchie, alla sera luminarie alle finestre, per le strade banchetti di cibarie, ciambelle e frutta, canti e suoni di popolo in allegria.
La cerimonia durò fino alla caduta della Repubblica con una breve interruzione nel 1774, poiché appunto in quest’anno, nel mese di settembre, il tetto della chiesa crollava: fu il giorno cinque e le macerie schiacciarono la mensa di due altari e la cantoria dell’organo e seppellirono una povera vecchierella, custode della chiesa, ed una giovane conversa che per caso passava.
Al fracasso, al denso polverone che si era innalzato accorsero con alcuni servi i patrizi Zuan Battista Gradenigo, domiciliato nel palazzo prospiciente il canale dirimpetto alla chiesa, e sier Girolamo Contarini abitante nell’attigua “salizada di Santa Giustina” e, lavorando di zappa, trassero dalle rovine le deu sepolte, ma ormai la vecchierella era giàmorta e la conversa gravemente ferita. Accorsi gli arsenalotti, furono entrambe portate nel palazzo del Gradenigo, la vecchia in attesa della sepoltura, la giovane per le cure necessarie.
La chiesa venne restaurata e riconsacrata nel luglio 1775 e continuò la cerimonia commemorativa della vittoria di Lepanto fino all’ottobre del 1796 e fu in quell’anno più splendida del solito quasi si prevedesse fosse quella l’ultima visita che faceva il doge Lodovico Manin alla santa vergine e martire, propiziatrice del trionfo contro il turco, il gran nemico della Repubblica di San Marco. (1)
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 6 ottobre 1929
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