Cecilia Venier, una sultana veneziana

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Ritratto di Nurbanu Sultan (Regina di Luce), o di una signora vestita alla moda turca (foto dalla rete)

Cecilia Venier, una sultana veneziana

Sono popolari le storie di Bianca Cappello e di Caterina Cornaro, quella divenuta duchessa di Toscana, questa Regina di Cipro, ma quella che conoscono in pochi è che una patrizia veneziana si sia seduta sul trono Ottomano e per parecchi anni sia stata arbitra delle sorti di quel potente impero.

Brevemente raccontano il Sagredo, l’Hammer e lo stesso Romanin nella sua “Storia documentata di Venezia” che una bellissima fanciulla, appena tredicenne, appartenente alla nobile famiglia veneziana dei Baffo, veleggiando da Venezia a Corfù per raggiungere il padre governatore di quell’isola, fosse rapita dai pirati turchi nel 1575, venduta al sultano Amurat il quale la elesse a propria moglie e ne abbe un figlio che fu poi Amurat o Maometto terzo. La storia è vera, ma i particolari e i nomi dei personaggi non sono esatti, e di recente lo dimostrò il professore Emilio Spagni con uno studio di profonda dottrina e di accurate indagini storiche pubblicato nel “Nuovo Archivio Veneto“; la sultana veneziana non era una Baffo, ma una Venier, non fu rapita nel 1575 ma nel 1537, non fu la moglie del terzo Amurat ma invece ne fu la madre, non visse fino 1605 ma morì nel 1583.

La prima menzione della nostra Sultana si trova nella cronaca Lippomano così chiamata dal nome del patrizio che la scrisse: “Haveva questo Amurat secondo per moglie una bellissima gentildonna Vinitiana del 1537 fo presa picciola nella isola di Paros nell’Arcipelago dove stava con li soi genitori“.

Questa gentildonna era appunto Cecilia Venier figlia di sier Nicolò e fu rapita nel 1537 dal corsaro Kaireddin Barbarossa quando s’impadronì di quell’isola. La Cecilia fu destinata “all’harem” imperiale, ma per la sua rara bellezza divenne la moglie favorita del Sultano sotto il nome di Nur Banu che nel linguaggio figurato d’Oriente significa donna di splendore.

Morto Amurat secondo, essa divenne sultana Validè, imperatrice madre, e come tale esercitò sul nuovo sultano, suo figlio Amurat terzo, successo al padre sul trono, un grandissimo potere, e tale fu la sua influenza da costringerlo a rimandare allora il disegno di togliere alla serenissima l’isola di Candia facendogli intendere che “per modo alcuno non voleva che si facesse guerra con Vinitiani“. E difatti per qualche anno Kaireddin Barbarossa, comandante supremo della flotta turca, non dette noia alle navi che battevano la bandiera di San Marco; la regina madre sorvegliava e il figlio Amurat, sebbene con qualche protesta, obbediva.

Ma il povero sultano circondato dai bellicosi Pascià, informato della Lega Santa che si stava formando contro l’impero ottomano, conosciuti i formidabili armamenti fatti dai collegati, tra cui Venezia, non ascoltò più la regina madre, interruppe con lei ogni colloquio e d’accordo con i suoi generali pensò alla difesa e all’offesa.

Così dopo un anno di febbrili preparativi la lotta scoppiò terribile: il 7 ottobre 1571, giorno dedicato a Santa Marina, ebbe luogo la famosa battaglia di Lepanto in cui Venezia aveva mandato centoquindici navi al comando del celebre “generale da marSebastiano Venier, flotta formidabile che sorpassava tutte le galere della Santa Lega unite assieme. Riepilogo di quella terribile giornata, settemila morti tra i Cristiani, tra cui cinquemila veneziani, settemila settecento feriti; le perdite dei Turchi salirono a ben ventotto mila uomini oltre a centodiasette galere e quindici galeazze che vennero ripartite tra i vincitori.

A Costantinopoli la notizia di simile disfatta recò la disperazione: Amurat terzo non volle veder più nessuno, si rifugiò presso la Sultana madre, ne ascoltò i consigli, non inveì contro i Veneziani anzi con animo generoso aperse loro i suoi mercati ordinando fosse l’accoglienza secra da insulti e da prepotenze.

Tali fatti riferiti alla Repubblica di Venezia da Francesco Morosini, bailo a Costantinopoli, e constatato che sulla Dominante, quando lo potè, non mancò mai la protezione della bellissima Cecilia, il Senato nella sua adunanza del 24 giugno 1583 votava quasi unanime, voti favorevoli centotrentuno contrari cinque, di spendere la somma di duemila zecchini per l’acquisto di regali da inviarsi alla regina madre. Questo è l’unico documento delle relazioni tra la Serenissima e Cecilia Venier, alla quale non restavano però che pochi mesi di vita, poiché il 7 dicembre 1583 si spense verso le ore undici del mattino.

Cecilia Venier era cugina in secondo grado di Sebastiano Venier, l’eroe di Lepanto, ed è curiosa coincidenza che mentre Sebastiano cooperava col suo valore al terribile colpo della disfatta turca nell’Arcipelago, Cecilia dal fondo del Serraglio cercava di governare e di dirigere le sorti dell’impero, avvolta, per noi occidentali, in quei misteriosi veli di cui l’Oriente cinge sempre le sue donne. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO. 29 ottobre 1933

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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