I teatri dei burattini e delle marionette, nella Venezia del Settecento

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Francesco Guardi. Il parlatoio delle monache di San Zaccaria (particolare). Venezia Ca' Rezzonico

I teatri dei burattini e delle marionette, nella Venezia del Settecento

A San Moisè e precisamente nella Calle Larga Ventidue Marzo, si apre verso il Canal Grande una calle chiamata del “Teatro” perché sorgeva in quella località il teatro di San Moisè, appartenente in origine alla famiglia Giustinian della contrada di San Salvatore.

Il teatro venne inaugurato nel 1640 con l’opera “Arianna” di Ottavio Rinnuci e musica del famoso Claudio Monteverde di Cremona, opera scritta in occasione dell’entrata in Mantova del duca Francesco Gonzaga con la novella sposa Margherita di Savoia.

Più tardi, nel 1679, fu questo il primo teatro in cui si rappresentarono commedie e opere in musica con fantocci di legno e lo afferma in una delle sue lettere Matteo Teglia, residente di Toscana a Venezia, quando il 14 ottobre di quell’anno scriveva: “al teatro di san Moisè si farà l’opera in musica con certe figurini di nuova invenzione et sarà musica di un maestro Antonio Pistocchi di Palermo che scrisse l’opera Leandro“. Le figurine di legno erano poste in movimento da invisibili congegni, mentre musici eccellenti cantavano nascosti dietro il palco: sfarzosa era la decorazione scenica, il vestiario dei fantocci, l’illuminazione del teatro.

Anche in molte case patrizie si adottò il teatrino delle marionette e verso la metà del Settecento erano celebri quello di Angelo Maria Labia di San Geremia, dei Grimani della contrada dei Servi, dei Contarini di San Barnaba e dei Loredan di San Vio.

Il teatro dei Labia era stato costruito sul tipo di quello di San Giovanni Grisostomo e sappiamo che vi si recitava la commedia dell’arte, la cui favola era quasi sempre data dall’abate Angelo Maria Labia, poeta brioso in vernacolo, vibrante di rammarico e di sdegno contro la corruzione dei tempi. Unico esempio che ci sia pervenuto di questi patrizi è quello che oggi si vede nel nostro museo Correr (attualmente esposto nella Casa di Carlo Goldoni), appartenente alla famiglia Grimani della contrada dei Servi con le sue trenta marionette vestite nelle fogge del Settecento di drappo, di seta e di velluto a ricami d’oro.

Ma dove i teatrini di marionette ebbero una certa fortuna popolare fu nei campi e nella stessa piazza di San Marco durante il carnevale e la famosa fiera della “Sensa“, quando il popolo, specialmente le donne, i vecchi e i fanciulli, si accalcava davanti al “castello dei burattini” ad ammirare le gesta e ridere a più non posso alle furberie di Arlecchino, alla malizia bonaria di Pantalone, alle gelosie di Lindoro e alla sfuriate amorose di Colombina.

Furono rinomatissimi nel Settecento i burattini Gambacorta, Paglialonga, Brazoduro e Borgogna e nelle incisioni del tempo vediamo il teatro ora in un punto ora in un altro della Piazza finché nel 1760, un bando crudele del Senato scacciò da questi luoghi le marionette e le costrinse a vagabondare per le strade e per i campi della città, recando il povero burattinaio “a spalla per le contrade” teatro e personaggi.

Dai dipinti di Francesco Guardi si scorge come il teatro dei burattini si trovasse anche nei parlatori dei conventi dove risonavano le allegrie rumorose e mondane, si raccoglievano le fiorite conversazioni e si davano feste da ballo presenziate dalle monache elegantemente abbigliate “e con gran parte del seno scoperto“. E il burattinaio dal suo “castello” faceva cantare ai suoi burattini il vecchio ritornello: “Le muneghe xe bone e de bon cuor: Le passa la so vita a far l’amor!” accolto da risa, da frizzi, da motti vivaci.

Negli ultimi anni della Repubblica la satira ebbe gran parte nel teatro delle marionette, e fu satira qualche volta atroce conto i “barnaboti“, i patrizi poveri che vivevano col “brolio“, contro il gioco, contro la corruzione del costume e il dissolvimento sociale, ma ogni rappresentazione, quasi a lenire la satira, finiva sempre con il coro:

Salute a tutti!
per molti anni:
Viva san Marco
e i veneziani
” (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 12 luglio 1929

FOTO: dalla rete. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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