La ricetta del “brodo nero divino”, di suor Teresa Contarini

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Palazzo Malipiero Trevisan. Campo Santa Maria Formosa. Sestiere di Castelllo

La ricetta del “brodo nero divino”, di suor Teresa Contarini

Nei banchetti veneziani del Cinquecento si mangiava molto, ma per il nostro gusto si mangiava male; condimento preferito era lo zucchero che si metteva dovunque, sul pesce, nella zuppa, in tutte le salse che non fossero cariche di spezierie forti, aggiungendovi qualche volta anche delle acque profumate e della polvere d’oro, che, con le credenze dei tempi, si diceva rinvigorisse il cuore. Le droghe in tutte le pietenza non mancavano mai e confuse alla comune cipolla e all’aglio, esse spiegavano il loro ardore come il pepe, il garofano, la noce moscata, il cubebe, la cannella, il gengevero, il benzoino, il ginepro. Tutti condimenti piccanti che stimolavano la sete e altre cose e per la sete c’erano vini di tutti i nomi: “salubri, cordiali, stomacali, matricali, gagliardi, mezzani, deboli et dolci per le donne” .

Nel febbraio del 1560 la compagnia della Calza, sezione dei Cortesi, aveva stabilito di dare in uno degli ultimi giorni di carnevale un grande pranzo e un ballo nelle sale del palazzo Malipiero di Santa Maria Formosa, costruzione quattrocentesca di Sante Lombardo a destra del ponte di Ruga Giuffa. La festa era già stata annunciata scherzosamente per tutti i campi di Venezia da giovani araldi vestiti di velluto cremisi e speciale attrattiva destava la notizia che a metà del pranzo si sarebbe servito un “brodo nero divinissimo e preciosissimo” la cui ricetta era nuova invenzione di suor Teresa Contarini, monaca nel convento aristocratico di San Zaccaria.

Il 10 febbraio, ultimo sabato carnavalesco, ebbero luogo i festeggiamenti che cominciarono con una superba giostra di cavalieri nel campo di Santa Maria Formosa “con gran torneare di correr l’anello e trar ovi pieni di acqua rosata alle finestre dove vi era concorso un grandissimo numero de zentildonne“. Finita la giostra con suoni e canti, ben duecento tra patrizi e patrizie si assisero alle mense preparate nelle sale del palazzo Malipiero, sfarzosamente addobato, e mentre nel sottostente canale continuavano le musiche, principiò il banchetto “con li antipasti di ostrighe et tratufi et insalate grandi di lattuche, carote, rape, cedri et salami“.

A metà del covito si alzò sier Polo Trevisan, priore dei Cortesi, annunciando alla compagnia “l’excellentissimo et divino brodo nero“, e, montato sopra una sedia, tra la curiosità generale lesse la ricetta di suor Teresa Contarini: “Piglia libra una d’uva secca, overo schiava, cavate l’anime, e libra una di mandorle senza mondarle, e una libra di pan tagliato in fette e una libra di fette di pan biscottato, mogliate in agresto de uva e pesta bene ogni cosa insieme, e distempera con brodo e passa tutto per la stamagna, e poni in una cazza stagnata su la bragia, e fa bogliere ogni cosa per spazio dum quarto de hora con oncia due di cannella e una di pevere pesto, e oncie nove di miel chiarificato; poi piglia tre cipolle tagliate minute e ponile in una pignata con gran lardo pistazzato, cubebe e benzolino e poca aqua. E quando saran cotte, le cipolle pesta tutto e poi metti nella cazza dove son le altre cosse e fa bogliere un mezo quarto d’hora tutto insieme. Poi haverai la tua carne o uccelli cotti alessi in piccioli pezzi e li soffrigerai nella patella con gran lardo ben battudo e pevere, e li imbandirai nei piatti, poi li porrai sopra detto brodo e servirai“.

Scoppiò un lungo applauso mentre entravano nelle sale i numerosi servi con grandi bacili d’argento contenenti “il brodo nero divino“. Da tutti fu trovato squisito, corsero i vini a smorzare l’ardor delle droghe e crebbe l’allegria spensierata. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. Il Gazzettino 17 febbraio 1928.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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