Quando Taranto voleva dedicarsi a Venezia

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Antica pianta di Taranto

Quando Taranto voleva dedicarsi a Venezia

Monopoli sul mare, tra Bari e Brindisi, apparteneva nel 1498 alla Repubblica di Venezia e il podestà sier Alvise Loredan scriveva alla Signoria di alcuni fatti accaduti a Taranto verso la fine del quell’anno nel mese di settembre.

I Tarantini si erano ribellati a Ferdinando d’Aragona re di Napoli e avevano innalzato il gonfalone di San Marco in quattro punti della città: sulla Rocca, sulla piazza dei Nobili e sulle due porte dette degli Albanesi e dei Greci. Taranto voleva essere veneziana e Rafael Cazanegi, nobile tarantino, aveva predicato: “che era solo da fidarsi in san Marco, che tutte le città sotto el so dominio sono amplificade et bonificade, che li cittadini hanno timor libertade et justitia, et non hanno timor alcun toglia il suo per forza“, e concludeva gridando alla folla “Viva santo Marco di Vinegia!“.

L’entusiasmo fu grande: una commissione di cittadini andò a Monopoli, “trenta milia lontan da Taranto” affinché sier Alvise Loredan scrivesse subito a Venezia per accogliere la città sotto la sua bandiera. Ma poi, tardando la risposta, i Tarantini misero in pratica il noto adagio: “chi no vol manda et chi vol vada“. E infatti il 3 novembre con un naviglio di Monopoli giunsero a Venezia cinque anbasciatori di Taranto con sei famigli “et erano Nicolò de Pavi, Rafael Cazanegi, Ugolino Bochariolo, Iacomo d’Arbe e Vincenzo Montemura“, i quali, sbarcati sulla Riva degli Schiavoni presero alloggio all’osteria “di la Serpa” al Ponte della Pagia. Il giorno dopo, chiesero udienza, si presentarono alla signoria e mostrando le lettere credenziali della Università di Taranto, offrirono la città alla Repubblica “per non voler Aragonesi qual haveano compido gran crudeltà, haveano preso tutto con la forza, haveano facto vergogna a le femine. Se li Venetiani non li vollevano acetar, si darebono al Turco“. La Signoria promise di convocare il Senato, e intanto dette loro cento ducati per le prime spese e li alloggiò al “Leon Bianco a San Bortolamio, dove starebono più honoratamente“.

La notizia di quell’ambascieria e l’offerta fatta sollevarono le proteste del Papa e del Ducadi Milano. Federico di Aragona successo al defunto fratello Ferdinando, impugnò il trattato di alleanza che egli aveva con Venezia; il Senato rimase indeciso, ma vinse il partito moderato e si deliberò di scriver subito a sier Cappello ambasciatore a Napoli per consigliare al re un governo più saggio, e si mandò Andrea Zancani a Taranto cercando di ridurre quei cittadini a più miti consigli. L’esito fu felice: il 20 febbraio gli ambasciatori partivano da Venezia e il doge, regalandoli di stoffe e denari, disse loro. “Diseghe a Taranto che haverà sempre la protetion de san Marco“. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 30 marzo 1927

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