Caterina Corner (o Cornaro), Regina di Cipro e Signora di Asolo

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Ritratto di Caterina Corner. National Trust Collections Renaissance

Caterina Corner (o Cornaro), Regina di Cipro e Signora di Asolo

Caterina regina di Cipro, nata nel 1454 da Marco Cornaro, di veneziana illustre famiglia, e da Firenze figliuola di Nicolò Crispo, duca dell’Arcipelago, era stata collocata fanciulletta in un monastero della sua città, onde esservi educata e custodita.

Crescendo intanto in bellezza e in virtù, avvenne che Jacopo Lusignano re di Cipro, considerata la fama e la possanza della repubblica veneziana, a quel Senato inviasse, con altri nobili, un Filippo Mastachelio, per chiedere in sposa una giovanetta patrizia, onde così maggiormente assicurarsi il possedimento di un regno, il quale, non che protetto, ma difeso anche sarebbe stato certamente in ogni riuscita dalle armi veneziane. Gratissima giugneva con l’arrivo dei cipriotti legati la richiesta al Senato, onde ridotte tosto al palazzo dei dogi settantadue delle più vaghe e delle più nobili donzelle della città, scelta era, con voce universale, tra tutte quelle, in sposa di Jacopo Lusignano la figliuola di Marco Cornaro, che dalla repubblica siccome sua figliuola per adozione veniva riconosciuta, e dotata di ben mille libbre di oro.

In questa guisa inaspettatamente passata Caterina dalla pace del chiostro al tumulto della reggia, poco ivi convisse con il marito, che per il molto travaglio di eccessivo calore sofferto in una caccia, fatta tra Nicosia e Famagosta, esso moriva sul fiorire degli anni per sopravvenutagli malattia di flusso, regno e moglie lasciando sotto la protezione della repubblica veneziana, la quale però impadronitasi dei primi uffici e delle prime dignità del regno, dispoticamente la giustizia e le finanze amministrava, dominando nel Consiglio. Così prestando Caterina soltanto il nome all’autorità che essa repubblica assolutamente esercitava, governò, o intese di governare, dopo la morte del marito, quindici anni pacificamente quel regno, sin a tanto un qualche moto di rivolta tra i Cipriotti cominciò a farsi palese.

Affezionati alcuni di essi al re di Siria, dimostravano di voler sottomettersi a lui; desideravano altri gli Ottomani, altri il dominio napolitano. Di fatto un Marino Riccio da Napoli, che era già stato famigliare del morto re Jacopo, e un Tristano Cibelletto, che una sorella aveva al servigio della regina, non lasciavano di adoperarsi affinchè essa con Alfonso figliuolo di Ferdinando re di Napoli si rimaritasse. Venuti tutti questi fatti a cognizione del Senato, egli, non solamente paventando le arti napolitane, per le quali, quando avuto avesse Caterina nuovo marito e figliuoli, sarebbero stati esclusi certamente i Veneziani da ogni diritto di successione nel regno, ma paventando anche gli apparecchi e le insidie di Baiazetto signore dei Turchi, il quale grandemente in quel tempo posto aveva l’animo alle cose di Cipro, ordinava che Riccio e Cibelletto, inferrati, condotti fossero a Venezia, e che recatosi a Cipro Giorgio Cornaro, assai eloquente persona, e fratello della regina, a Venezia pure, senza più, seco lui la traesse.

Obbedendo Giorgio al volere dei padri, fu in brevi giorni dalla sorella, a cui la cagione della sua venuta incontanente fece palese. Dalla novità della richiesta altamente commossa Caterina, incominciò a ricusare, e a non voler essere persuasa a dover lasciare un ricco regno, siccome donna abituata a vivere regalmente e in regali onori avvezza, troppo bene sapendo quanto strettamente, e parcamente, e ancora quanto indifferentemente sotto le repubbliche si viveva, conchiudendo che assai potuto avrebbe bastare se quella isola in balia della repubblica dopo la sua morte venuta fosse. Ma tanto ingegnosamente seppe il fratello persuaderla, che alla fine, lagrimando, acconsentiva a rinunziare il regno alla sua repubblica, alla quale poi nella basilica di san Marco solennemente faceva amplissima donazione.

In conseguenza dunque di tale avvedutissimo politico maneggio, Venezia diveniva padrona di Cipro; Riccio aveva morte dal carnefice; Cibelletto, il qual prevedeva già soprastargli questo medesimo fine, si toglie va da sè stesso la vita, traghettando a Venezia da Cipro, col trangugiare un diamante, che portar soleva in dito, e bevendovi sopra acquaforte; finalmente Giorgio Cornaro, mezzano dell’intrigo, rimeritato era con quattordici casali dell’isola stessa di Cipro, ed il diritto aveva d’inalberare le armi Lusignane. Festeggiata poi Caterina al suo arrivo a Venezia dal doge e dai senatori, ed accolta al sonare a gloria delle campane, e al tirare delle artiglierie, vi trovava onoratissima e splendidissima stanza, non lasciandosi con sagacità molta, affinchè ella più facilmente potesse porre in obblio gli usati reali maneggi, di darle di continuo sollazzi e piaceri, e di accordarle in pari tempo lo sterile conforto di usare del vano titolo di regina di Cipro, di Gerusalemme e di Armenia.

Era poco tempo trascorso dalla venuta a Venezia di Caterina, quando recatasi essa nei dintorni di Asolo per vedervi Massimiliano imperatore, che da Milano, con grande pompa e corteggiamento, sedendo in un dorato carro tirato da dodici candidissimi cavalli, facea ritorno in Alemagna, tanto della vaghezza di quei siti rimase presa, e specialmente di quello, in cui trovasi Asolo, castello posto negli estremi gioghi delle Alpi sopra il Trivigiano, tutto intorno circondato da piacevolissimi colli, e irrigato da limpidissimi ruscelli, che datale già dal senato la elezione di prendere in dominio quella terra dello Stato, che più le fosse piaciuta, non istette punto dubbiosa di chieder tosto, la signoria di Asolo concessa le fosse. Alle quali domande con soprabbondanza rispondendo il senato, non solamente le dava in investita il detto castello, ma le donava pure dieci libbre di oro, ordinando che goder dovesse, oltre la rendita della terra, anche un annuo assegnamento di ducati ottomila.

Sorpresi gli Asolani a questa notizia, e lieti di acquistare per signora una regina, ponevano in subuglio il castello tutto, onde riceverla degnamente. Le si facevano perciò incontro tenendo nelle mani ramoscelli di olivo, l’accoglievano sotto un baldacchino di panno d’oro, e la conducevano nella loggia del pubblico per essere complimentata in nome della cittadinanza da un Taddeo Bovolino con lunghissima orazione.

Mancava però ivi un palazzo, che ai magnifici ed elevati disegni di Caterina si addicesse: accignevasi ella dunque a farne innalzare uno poco discosto, che render volle più sorpren dente e maestoso con un parco, abbondante di caprioli, di lepri, di cervi e di conigli, e con un giardino di meravigliosa bellezza. Era questo dipartito per mezzo da un largo ed ombroso pergolato di viti, essendovi siepi di spessissimi e verdissimi ginepri, e di folti allori, gastigati però in maniera che le foglie fuori dell’ordine loro non ardivano dimostrarsi. Terminava poi il giardino in un pratello di freschissima e minutissima erba, dipinto e segnato di alquante maniere di vaghi fiori, nell’estremo del quale altri allori cresciuti senza legge, e in maggiore quantità, facevano due selvette nere per le ombre, e piene di una solitaria riverenza. Davano queste selvette ad una bellissima fonte maestrevolmente cavata nel vivo sasso della montagna, che da quella parte serrava il giardino, dalla quale cadendo una vena di chiara e fresca acqua, scendeva questa in un canalino di marmo, che divideva il pratello, soavemente facendosi sentire; indi ricevuta nel canale, e quasi tutta coperta dalle erbe, si affrettava mormorando di correre nel giardino.

Occupato dai nemici il castello di Asolo, e riparatasi la regina di Cipro a Venezia nel suo palazzo, che aveva nella contrada di san Cassiano, onde una delle vie della contrada stessa chiamasi ancora calle della regina, ivi moriva, il 10 luglio 1510 alle ore quattro della notte, nel cinquantesimosesto anno dell’età sua. Magnifici funerali ebbe, con l’intervento del doge, e della signoria, e quali a regal donna ben convenivano, e nella chiesa di san Salvatore un grande e ricco mausoleo pur ebbe, condotto da Bernardino Contino, essendo poi stata grandissima disavventura che non abbiano avuto esecuzione i disegni dei sepolcri della famiglia Cornaro, cioè di Caterina e di Marco, il primo di quella casa, che sia stato promosso al cardinalato, fatti da quel Giovanni Maria Falconetto da Verona, il quale migliorato aveva nello Stato veneto il gusto dell’architettura in maniera da condurla quasi al grado della sua perfezione.

(1) Fabio Mutinelli. Annali Urbani di Venezia. Venezia 1838

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