Falcioni da parata

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Falcioni e altre armi inastate in mostra nelle sale dell'Armamento. Palazzo Ducale

Falcioni da parata

Le armi in asta (già in uso alle popolazioni balcaniche e dell’Asia da tempi immemorabili e di probabile derivazione orientale) così dette perché caratterizzate dal ferro fissato alla sommità di un’asta lignea, più o meno lunga, furono quasi sempre usate da uomini a piedi presenti sui campi di battaglia fino a tutto il Cinquecento, quando l’affermazione delle armi da fuoco le “relegò” ad armi da parata o ad insegna di servizio per nuclei di guardie del corpo.

L’arma era nata dalla falce messoria in cui il ferro era montato in asse all’asta[a].

Il Falcione (in francese fauchard o fauchon e in tededesco kriegssense) fu un’arma da asta che ebbe varie forme e manico più o meno lungo a seconda delle epoche[b]. La sua origine, per quanto discussa è da assimilarsi alla grande falce erboraria. Le prime notizie del falcione in Italia, molto diverso dai modelli che conosciamo oggi, derivano da un documento dell’archivio comunale di Vercelli del 28 dicembre 1202: ” Item… manarie X, pici 10, cape III, varobii cum tinivellis XVI, Falciones XVI […]” e negli statuti civici di Verona lib. III, pag. 202 si legge: “Item statuimus et qui contra fecerit puniatur […] pro ense, lancea, vel lanzono, vel spontono, vel falzono, vel rangono vel aza […]

Nel corso del sec. XIII il falcione diventò una vera e propria arma delle fanterie contadine cambiando forma: se la falce campestre ha il taglio dalla parte concava per il tipo di lavoro che deve eseguire, al falcione si applicarono il principio della “mannaia” riconfigurandolo con il taglio dalla parte convessa, un falso taglio dalla parte opposta e in mezzo la costola da cui nasceva la gorbia, talvolta aperta dalla parte di sopra negli esemplari più antichi, alle volte con un gancio al quale si appendeva un “primitivo” tipo di lanterna. Per tutto il secolo XV il falcione continuò ad avere, salvo alcune varianti che lo fecero talvolta confondere col coltello da breccia o con la vouge, la medesima forma. Nell’Italia settentrionale fu spesso anche l’arma “di ripiego” degli arcieri e balestrieri, rappresentato anche nelle miniature della cronaca del Froissard. Spesso al di sotto della gorbia, esisteva una rondella o due rembi o “denti” contrapposti, per difendere le mani del soldato che la impugnava.

Dalla metà del XVI secolo e per tutto il XVIII secolo, l’uso del falcione, ormai non più utile sui campi di battaglia, essendo terminato il periodo delle fanterie, diventò un’arma da pompa e da parata[c], dove i veneziani eccelsero sia come decorazioni sia come idea di riutilizzo, creando l’ennesima moda adottata come novità da tutti regni europei. Nel XVIII secolo la parte del ferro nelle fucine della Dominante cambiò ancora forma, cercando profili sempre più morbidi e arrotondati essendo ormai prettamente un decorativo strumento di propaganda dello strapotere delle grandi casate veneziane e quasi per nulla utile all’offesa militare. Il “ferro” del falcione, robustissimo, aveva un filo e mezzo e si presentava con una lunghezza che andava dai 45 cm ai 60 cm, veniva assicurato al legno per mezzo di una gorbia interna e delle bandelle della gorbia stessa che superavano spesso il metro, fissate al legno (pioppo o faggio) con chiodi degli zoccoli del cavallo contro ribattuti. Il ferro venne istoriato, ageminato, arabescato con figure mitologiche e allegoriche del blasone della famiglia (sempre presente). Ogni asta veniva rivestita da vari metri di tela incollata e fissata con borchie d’ottone che riprendevano le figure araldiche del blasone del signore. Ogni “palazzo che si rispettava” possedeva un certo numero di servitori, anche fino a otto, i quali con le livree della casada e i falcioni seguivano il signore nei suoi vari spostamenti diurni nella città. In Cina e in Giappone, ancora oggi, sono in uso grandi falcioni che rassomigliano ai falcioni delle milizie europee dei sec. XIV e XV, come il guan dao, in Giappone un ibrido che pare un coltellaccio inastato denominato nanghinata (o nanguinata).[d][e] (1)

[a] Lionello G. Boccia, Eduardo T. Coelho., Armi bianche italiane, Bramante editrice, Milano 1975. La figura: A-B-C-D, da guerra; E-F, da comparsa; G-H, da casada

[b] Ronca, arme in asta adunca, a guisa di falce, con uno spuntone alla dirittura dell’asta. Può essere, che l’harpe de’ Lat. e l’ἄρπη de’ gr. non fosse molto differente. Vocab. degli Accademici della Crusca, Firenze 1612, p. 326.

[c] Nel 1589 un ordine, documentato del Consiglio dei X, dispone che i provveditori del Montello e della valle di Montona, debbano rifornire le sale delle armi di “quatrocento aste de spin e de pomer selvadego, cioè dusento per una per incasser quelle armi che ne avessero bisogno”.

[d] Merendoni, Antonio [a cura di] (2000) Scrima: tradizioni marziali d’Occidente, Bologna, Stupor Mundi, ISBN 88-8026-026-X.

[e] Disegni tratti da: Boeheim Wendelin Handbuch der Waffenkunde, Das Waffenwesen in seiner historischen Entwicklung vom Beginn des Mittelalters bis zum Ende des 18 Jahrhunders, Leipzig 1890.

(1) Alessandro Zanotto e Debora Gusson

Falcioni e altre armi inastate esposte nelle Sale dell’Armamento in Palazzo Ducale a Venezia

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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