Paolo Renier il penultimo doge

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Il Doge Paolo Renier(foto dalla rete)

Paolo Renier il penultimo doge

Paolo Renier, eletto doge il 14 gennaio 1779, sebbene uomo di grande ingegno pure era mal visto da molti patrizi e dal popolo per la sua avarizia, per il suo contegno subdolo, per il poco scrupolo nella scelta dei mezzi che a lui potessero convenire e per il suo matrimonio con una ballerina tale Margarita Dalmaz da lui conosciuta quando era bailo a Costantinopoli.

Bortolo Gradenigo asseriva che il Renier aveva comperato per esser doge trecento voti a quindici zecchini l’uno, si era raccomandato “calando stola” ai patrizi più influenti, e non aveva trascurato nulla mettendo da parte qualunque dignità pur di riuscire. E riuscì, ma quando Alvise Zen, il più vecchio dei quarantuno lo annunciò al popolo la sua elezione che fu invece accolta con un mormorio di malcontento.

Dopo appena alcuni mesi dalla sua proclamazione un nuovo fatto venne ad aumentare l’antipatia verso il doge, se pur ve n’era bisogno, e la città fu per parecchie settimane pro e contro di lui, ma il partito contrario era ben più numeroso di quell’altro specialmente tra i patrizi “che parlavano del fatto per tutti i angoli di Venezia“.

Bortolo Renier, nipote del Doge, amoreggiava da qualche tempo con la giovane Pisana, figlia del cavaliere Alvise Mocenigo della contrada di San Samuele, ricca ereditaria e che portava in dote la bella somma di quarantacinquemila, ma il padre non ne voleva sapere del Renier e proibì alla figlia di continuare l’idillio. Il doge, che amava i denari, non solo per sé, ma anche per il nipote, prese le parti di Bortolo mentre il Mocenigo sempre più contrario a quel matrimonio allontanò la figlia da Venezia conducendola a villeggiare nella villa Loredan a Strà che sorgeva dirimpetto alla famosa villa Pisani.

Trascorsi alcuni giorni nella nuova dimora, volubilità delle giovani patrizie del settecento, la Pisanella s’innamorò del giovane Almorò Pisani, figlio del procuratore Zuane Pisani, che abitava nella sua splendida villa e dichiarò al padre d’accordo con il nuovo fidanzato “che essa voleva esser Pisani“. E il padre accondiscese.

Nelle lettere di Luigi Ballarini, conservate manoscritte nel Museo Correr, dirette a sua Eccellenza Daniele Andrea Dolfin, allora ambasciatore della Repubblica alla Corte di Francia, si legge: “Divulgatosi che si sta per effettuare questo matrimonio Mocenigo – Pisani, ecco il gran passo che fece il Doge, da cui si vede che quando li uomini si riscaldano perdono la bussola. Li 21 corrente si è prodotto il Serenissimo Paolo Renier con un memorial al Tribunal supremo, nel quale espone la violenza, e non era vero, del Cav. Alvise Mocenigo nell’obbligare la figlia a sposar il Pisani. Il Doge si rivolge a Sue Eccellenze acciò venga posto in luogo neutro questa giovane, acciò possi liberamente disponer della sua volontà. Il Tribunal pensò all’affare, indi ha deciso di restituir il memoriale a sua Serenità perché inammissibile“.

Intanto il contratto tra i Mocenigo e i Pisani veniva firmato e si corse al patriarcato per avere i documenti occorrenti al matrimonio, ma il patriarca Federico Maria Giovanelli, “prevenuto dal Serenissimo frappose delle difficoltà“. Protestarono altamente il cavaliere Mocenigo, il procuratore Morosinicompare dell’anello“, il senatore Pisani e finalmente i documenti furono concessi e spediti subito a Strà.

Così avvenne il matrimonio, ma “tutta Venezia disapprova la famiglia Renier, che sempre più vede mal volentieri a regnar, anche perché gli impieghi del Dogado sono tutti venduti vilmente; ed una prova è che passando l’altro giorno in carrozza dal Dolo, la signora Pisanetta col nuovo sposo, il popolo e quelli che s’attrovavano alli caffè li salutarono con universale battimento di mani e di evviva“.

Qeulli applausi e quelli evviva suonavano condanna al doge Paolo Renier, eppure il penultimo doge in Venezia, con tutti i suoi difetti, e ne aveva molti, se fosse vissuto nel 1797 e avesse potuto valersi dell’opera e dei consigli di Angelo Emo e di Giovanni Nani, scesi pur essi nella tomba, Venezia di miglior morte periva e non tra le lagrime e i balbettanti paurosi di un Serenissimo pusillanime come Lodovico Manin. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 25 agosto 1929

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