L’osteria del Sturion, a San Silvestro, nel Sestiere di San Polo

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Calle de lo Sturion. Sestiere di San Polo

L’osteria del Sturion, a San Silvestro, nel Sestiere di San Polo

Il nome dello “Sturione“, grosso pesce d’acqua dolce, dato a una calle a Rialto che sbocca sulla “Riva del Vin” rimonta a quasi sette secoli, poiché in qualche cronaca si trova che nel 1244 tale strada veniva così chiamata da una vecchia osteria all’insegna dello “Sturione“, che si trovava all’angolo tra la fondamenta e la calle.

Vettor Carpaccio nel suo famoso dipinto “Il patriarca di Grado libera un indemoniato“, tela oggi custodita nella nostra Accademia, nel ritrarre la caratteristica “Riva del Vin” sul Canale Grande, dipinse la facciata principale dell’osteria e la sua insegna; uno storione circondato da una corona di frasche appesa ad un piccolo palo sporgente da un poggiolo.

Nel 1295 un certo Guglielmo, oste “ad Sturionum in Rivoalto” era condannato ad una grossa multa per vendere il vino in misure inferiori per capacità del prescritto e qualche anno più tardi lo stesso oste incorreggibile per annacquare il vino veniva punito con un mese di carcere nelle prigioni dei Camerlenghi a Rialto.

Un’altra sentenza del 10 gennaio 1347 colpiva Antonia, moglie di Pasqualino Bonmattei oste dello “Sturione” con due mesi di prigionia e venti ducati di multa per aver maritato la figlia Chiara, avuta dal suo primo marito Meneghino Tubeta, fante della Quarantia e ammazzato in pubblico servizio, senza avvertire i Signori di Notte che ne avevano assunto la tutela.

Ma il maggior dei guai l’osteria lo passò nel 1412 in cui, contro le leggi, aveva dato alloggio a tre meretrici di San Matteo di Rialto “Maria Greca, Lena da Florentia et Isabela da Campalto” per comodo e sollazzo dei forestieri. Se ne accorsero i Signori di Notte che fecero arrestare le tre donne e ordinarono la chiusura dell’osteria per un mese condannando il proprietario tale Marco Riccio ad una multa da pagarsi e beneficio dell’ospedale degli incurabili.

Nell’osteria dello “sturione“, racconta la cronaca Delfina, vennero ospitati nel novembre 1418 a spese della Signoria sette ambasciatori del Friuli con un seguito di circa cinquanta persone e vi furono feste e banchetti pagati dalla Repubblica che in tali occasioni non lesinava certo il denaro. Negli ultimi anni del Quattrocento l’osteria dello “Sturione” aveva quasi tutta la clientela di Rialto: i patrizi dei Banchi, i mercanti di San Giacometto i gioiellieri della “Ruga de li Oresi“, i proprietari “de le Paneterie” e faceva affari d’oro in confronto delle altre osterie della contrada, del “Bo, della Torre, della Cicogna, della Donzella e dell’Anzolo

Ma nel 1510 il fabbricato dell’osteria venne comperato dal Comune, un anno dopo l’osteria fu chiusa e un decreto della Signoria ordinava ai Provveditori al Sal di spendere ducati “cinquanta per far le volte de lo Sturion per meter tre ofici, a ciò non vadano de male“. E qualche anno, compiuti i lavori di restauro “fo posto et preso fabricar la doana di terra dove era l’hosteria per meter li ofici Messeteria, insida et intrade“.

Così sorse la dogana per le merci terrestri che aveva il prospetto sulla “Riva del Vin” e di cui un dopo, il Canaletto in una sua incisione disegnava la facciata principale con accanto una forca per ammonimento di coloro che avessero commesso qualche delitto in questa pubblica azienda.

Anche scomparsa l’osteria, la strada continuò sempre a chiamarsi “la calle del Sturion” e in questa calle abitava e moriva il 25 dicembre 1557 il celebre matematico Nicolò Tartaglia, insigne maestro d’artiglieria e di balistica, che spiegava Euclide nel tempio di San Zanipolo a un gruppo eletto di scolari.

In questa calle abitò nel 1590 per qualche settimana il cipriotto Marco Bragadin, prima di essere ospitato in casa Dandolo alla Giudecca, e cominciò colà a fare i suoi imbrogli “per far d’argento vivo oro finissimo”, imbrogli che lo condussero un anno dopo alla forca per frode d’ordine del duca di Baviera.

Nel 1720 in calle dello “Sturion” si uccideva Marchetto Scandelli, avvocato dei prigionieri, per aver perduto al gioco tremila ducati nel casino di San Cassiano “dove si riunivano patrizi e truffatori, preti ed ebrei, nobildonne e meretrici e si giocava tutto: denari, ciondoli, anelli, abiti e perfino l’onore.” (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 11 maggio 1930.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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