I teatri negli ultimi anni della Repubblica

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Francesco Guardi (1782). Concerto di gala. Alte Pinakothek Monaco

I teatri negli ultimi anni della Repubblica

Nei suoi ultimi anni la Repubblica aveva dichiarato quel grande paradosso della “neutralità disarmata” contro la proposta di Francesco Pesaro e di pochi altri i quali dinanzi alla gravità degli eventi consigliavano una neutralità sostenuta dalle armi. Parevano anni di triste agonia, ma furono invece giocondi di feste, di baldorie, di baccanali, quasi si cercasse dimenticar la rovina nella sfrenata allegrezza. Si risparmiavano i ducati per armar le fortezze, le navi, i soldati, ma poi si spendevano in feste e la città presentava il suo seducente aspetto dei tempi passati; cene sontuose, mascherate splendide, balli, giostre, regate, a cui si univa la bellezza degli spettacoli teatrali fin dal seicento divenuti ormai celebri.

Nel 1796 tutti i patrizi erano innamorati di Anna Morichelli Bosello che cantava al teatro Giustinian a San Moisè e durante lo spettacolo i più zelanti ammiratori le offrivano fiori, versi e regali d’oro e scioglievano al volo colombi, fringuelli, canarini e perfino fagiani. Per la Morichelli, il Paisiello aveva appositamente composta nel 1789 la “Nina pazza per amore“.

Al teatro Vendramin a San Luca, oggi Goldoni, si dava nel 1788 il “Ladislao” un dramma del patrizio Alessandro Pepoli, figlio di Cornelio di San Vidal e di Marina Grimani di San Girolamo. Sier Alessandro aveva la mania di vestirsi da Arlecchino e, lasciata la toga patrizia, recitava nella maschera bergamasca per la quale aveva scritto una gran parte nel suo “Ladislao” riscuotendo applausi, risate e confetti.

Ma non ricevette ne applausi né confetti, bensì bastonate quella sera che venne sorpreso, vestito da Arlecchino, nell’alcova nuziale della bella Teresa, moglie di Alvise Venier, il senatore. La Teresa era figlia di un vetturale vicentino, tale Ventura e, dopo una vita di pochi scrupoli, il Venier se l’era sposata.

A Santa Maria Mater Domini in una casa già appartenente alla famiglia Zane, vicino alla “Calle longa” c’era un teatro di dilettanti condotto da un tale Zuane Lanza e le principali attrici erano due donne di facili costumi, tale Marietta Zuechina e Catte Cechinato. Il pubblico accorreva con entusiasmo non per il teatro, ma per certe camerette civettuole, dove si mangiava, si beveva e si faceva all’amore “con tutte le fraschette della parrocchia“.

Il Consiglio dei Dieci cercava di porre riparo al lusso, alle feste, agli sconci, ma ormai, purtroppo! il male era cancrena. Il 15 luglio 1796 apparve in Piazza San Marco una tale contessa Mandola venuta da Brescia, abitante a San Fantino in Calle de la Verona. Aveva i capelli alla Bruto, cioè tutti i capelli tagliati corti, sottanine al ginocchio e una scollatura che che permetteva di vedere fino alla cintola. Due giorni dopo veniva bandita, ma molti patrizi protestarono e sier Maffetti di San Polo voleva farne parola in Senato. Meno male che i tre Inquisitori glielo proibirono! (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 9 giugno 1927.

FOTO: dalla rete. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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