Il teatro del Palladio (1565-1630), nel Monastero della Carità, nel Sestiere di Dorsoduro
Il primo edificio costruito a Venezia ad uso di teatro pubblico era opera del celebre architetto Andrea Palladio di Vicenza.
Fu appunto la compagnia degli “Accesi“, una delle tante sezioni della famosa compagnia della Calza, che ne dette l’incarico al Palladio e nell’ampio atrio e parte del vasto cortile del monastero della Carità dei canonici regolari di Santa Maria, venne innalzato “il teatro di legname a somiglianza di mezzo Colosseo di Roma“, forse con quella distribuzione e quelle forme, imitate dai modelli romani, che il grande architetto adottò poi nel teatro Olimpico di Vicenza.
Durante la fabbrica, per i complicati congegni decorativi, per le esigenze degli attori e probabilmente anche per quelle dei committenti, il Palladio ebbe seccature non lievi, tanto che appena finito il lavoro, riuscito veramente superbo, egli scriveva al suo concittadino Vincenzo Arnaldi: “Ho finito di fare questo benedetto teatro, nel quale ho fatto la penitentia de quanti peccati ho fatti et sono per fare, Marti prossimo si reciterà la tragedia. Quando V.S. potesse vederla, io la esorterei a venire perché si spera che debba essere cosa rara“.
E difatti in quel prossimo martedì che era il 28 febbraio 1565, il teatro venne aperto ed una gran folla cominciò ad affluire in campo della Carità quasi un’ora prima dell’apertura, nonostante il prezzo del solo ingresso fosse per quella sera di mezzo ducato. Giungevano numerose alle rive del campo le gondole dei patrizi e davvero cosa rara doveva essere quell’edificio costruito da tanto architetto, con le decorazioni di Federico Zuccheri di Sant’Angelo in Vado in quel di Pesaro, rinomato pittore, il quale aveva dipinto “dodici storie grandi di 7 piedi e mezzo l’una per ogni verso (circa due metri e mezzo per lato) con altre infinite cose de’ fatti d’Ircano re di Jerusalem, secondo il soggetto della tragedia” che era intitolato “Antigono” di messer Conte di Monte vicentino “et dedicato al clarissimo sier Francesco Pisani“.
Un solo particolare ci resta di questo primo spettacolo “et è che tra i commedianti era il celebre mosaicista Valerio Zucato con soa moier Paolina et quel Pasquati di Padoa che inventò la maschera del Pantalon“, ma certo è che dovevano essere spettacoli regalmente magnifici.
Una parte degli introiti andavano a favore dei canonici del convento della Carità e forse per questo ne ebbero gelosia i Gesuiti, che avevano allora il convento sull’area degli attuali giardini del Seminario patriarcale, e con il loro solito sistema gesuitico “messero in considerazione al Senato che facilmente il teatro ligneo del Palladio ad alcun poteva venir in mente di abbrugiarlo et estinguere così buona parte di quella nobiltà che tanto grande haveva fatto la terra di santo Marco“.
Vivaci furono le discussioni in Senato pro o contro il teatro; alla fine l’espediente immaginato dai Gesuiti riuscì e il teatro della Carità venne chiuso dopo otto anni dalla sua costruzione “con gran danno di chi l’aveva fatto fare“.
Ma non fu demolito; vi si opposero i patrizi Andrea Morosini, Marin Badoer, Alvise Mocenigo contro Agostin Barbarigo che, sobillato dai padri gesuiti, lo voleva distrutto e così la magnifica opera del Palladio resistette all’urto di Sant’Ignazio pur rimanendo deserta.
Però negli ultimi anni del Cinquecento e nella prima decade del Seicento il teatro si aperse ancora e, seguendo le nuove tradizioni, Sebastiano Serlio, architetto bolognese, volle introdurvi le moderne maniere delle scene: la scena tragica “con li casamenti di grandi personaggi“; la scena comica “con li casamenti di personaggi privati”; la scena popolare “con sassi, arbori, colli et capanne a la rustica“.
Nella notte del 6 novembre 1630 scoppiò un violento incendio nel monastero della Carità e andò anche distrutto il magnifico teatro del Palladio. (1)
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 18 settembre 1928
FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.