Il vino a Venezia

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Sotoportego del Magazen, a San Canzian nel Sestiere di Cannaregio

Il vino a Venezia

In un antico libro di “Deliberazioni” del Maggior Consiglio, conservato nel nostro Archivio di Stato, si trova trascritto a margine, forse da qualche segretario per ingannare il tempo di una noiosa discussione del Consiglio, uno dei più vecchi brindisi veneziani che suona:

Chi ben beve ben dorme 
Chi ben dorme mal no pensa 
Chi mal no pensa mal no fa
Chi mal no fa in Paradiso va 
Ora ben bevè che Paradiso averè.

La gioconda filosofia dell’ignoto trascrittore cominciava già da quell’epoca a diffondersi a Venezia, dove alle prime locande del duecento si erano aggiunte numerose osterie e più numerose vendite di vino al minuto chiamate “magazzeni, bastioni, malvasie” sotto la vigilanza degli ufficiali della Giustizia vechia.

Più che altrove a San Marco e a Rialto, i due centri principali della vita cittadina, si trovavano osterie e magazzini, proprietà di patrizi e di conventi, i cui conduttori dovevano essere approvati dai deputati del Maggior Consiglio. A Rialto l’osteria della “Scimia” era delle monache di San Lorenzo, quella del “Sole” apparteneva al convento di San Servolo e l’altra del “Mellone” ai frati di San Giorgio Maggiore, mentre le tre osterie al Ponte de la Pagia all’insegna della “Serpa” della “Stella” e della “Corona” erano della famiglia Foscari; l’osteria a Rialto chiamata della “Campana” dei Sanudo e molte altre appartenevano ai Contarini, ai Malipiero e ai Morosini di Santa Maria Formosa.

In piazza San Marco stavano le osterie del “Cappello nero” e del “Salvadego“, della prima si vede l’insegna appesa alle procuratie nel celebre dipinto “La processione della Croce” di Gentile Bellini, della seconda si ha memoria fin dal 1312 nel Capitolare dei procuratori “de supra“. Presso il Ponte di Rialtoda la parte della Dogana de terra“, oggi Fondamenta del Vin, c’erano le osterie del “Bo“, della “Torre“, della “Cicogna“, della “Donzella” e quella dello “Sturion” che dette il nome alla calle e la cui insegna il Carpaccio ritrasse nella splendida tela “Il Patriarca di Grado che guarisce un infermo“, dove appare la caratteristica veduta del Canal Grande a Rialto, il centro vivo a famoso degli affari e dei traffici veneziani.

Nella sola Calle de le Locande a San Paterniano esistevano tre frequentate osterie all’insegna delle “Tre chiavi“, delle “Tre rose” e dei “Tre visi“, però sembra avessero una gran cattiva fama se una vecchia legge proibiva a queste tre osterie di tenere “zoveni di bell’aspetto et fantesche di una età minore de li anni quaranta“.

Ma per “la bella bevuta de chi ben beve ben dorme“, cui fin dal Quattrocento i veneziani erano proclivi sebbene senza esagerazione, più che le osterie erano frequentati “li magazeni, li bastioni e le malvasie” che avevano vino buono, genuino, nostrano e navigato e non vendevano che vino al minuto con soli biscotti e ciambelle. Avevano gran rinomanza per i buoni bevitori, dice il Grandenigo nei suoi “Commemoriali” le caneve “ossiano magazeni situati a San Girolamo, alla Ca’ d’oro a Santa Sofia et ali Incurabili. Per altro la botte più grande attenente a simili magazeni era nel magazeno a San Zanipolo perché conteneva assai più di bigonzi ventitre e secchi tredici di vino“, circa quattromila litri.

I “Bastioni” erano magazzeni più grandi e nel seicento quello di San Martino era il più noto perché aveva tutta la clientela dell’Arsenale: il proprietario Marco Grandi regalava ai suoi avventori due litri di vino ogni anno nel giorno di Natale, precorrendo l’uso delle regalie che i mercanti veneziani davano ai loro clienti due volte all’anno, Natale e Pasqua, tradizione durata fin quasi alla fine del secolo scorso.

Ma dove si beveva del vino ottimo, famoso vino navigato, era nelle “Malvasie” vino che veniva dalla Morea, la più grande delle Isole Ionie, e che aveva il nome dai vigneti celebri che circondavano la città di Malvasia. Nelle spese pubbliche della repubblica registrate presso il Magistrato delle “Rason vechie” che di questo vino con relativi biscottini, i quarantuno elettori del doge confortavano due volte al giorno la loro clausura, e la malvasia si usava anche nel sacrificio della messa. Nel Settecento erano celebri le malvasie di San Fantino, di San Giuliano, di San Polo, di Santa Maria Formosa dove si vendevano tutte e tre la qualità “la dolce, la tonda e la garba“. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 18 dicembre 1929.

Dall’alto in basso, da sinistra a destra:

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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