Il pellicciaio di Portogruaro

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Palazzo Municipale. Portogruaro

Il pellicciaio di Portogruaro

Nel mese di febbraio 1420 un’ambasciata del comune di Portogruaro venne a Venezia recando al Senato la proposta di sottomissione della loro terra al dominio Veneto, alle stesse condizioni con le quali era stata accettata alcuni anni prima la dedizione di Marano Lagunare.

Il 9 febbraio il Senato con solenne cerimonia accettò la proposta nominò primo podestà di Portogruaro sier Michele Barbarigo del ramo di San Barnaba e sulla torre del Paludo si alzò maestoso il gonfalone di San Marco.

Era allora Portogruaro terra grossa circondata da mura, sito forte con le sue torri di Sant’Agnese, di San Giovanni, di San Francesco, di Portovecchio e con quella dei Paludo volta verso la laguna, era terra bella bagnata dal Lemene che la univa per via d’acqua a Concordia e a Caorle, aveva palazzi e due vaste piazze, era terra ricca per il commercio delle spezerie e per i suoi fonteghi pieni di merci che dal mare andavano all’interno oltre l’ubertosa regione friulana.

Così accorreva tra le sue mura molta gente non solo dal suo territorio, ma anche dalle provincie limitrofe; mercanti, operai, uomini d’arme che speravano trovare la ricchezza come difatti era successo a qualcuno di loro.

Anche un tale Giovanni Francesco pellicciaio di Portobuffolé nella Marca Trevigiana, si era recato nel 1461 con la famiglia e un discreto corredo di pellicce a tentar la fortuna, ma fosse cattivo lavoratore o le disgrazie lo avessero colpito, fatto è che dopo due anni egli si era ridotto ad aver dei grossi debiti e nessuna merce nella sua squallida bottega di borgo San Giovanni. Ricorso per aiuto ad un suo conoscente, un certo Favorlini della contrada di San Gottardo, ricco mercante di seta, ebbe un reciso rifiuto; pensò allora come unica ancora di salvezza, ad un furto, “et ne li magazeni dil ditto Favorlini robò tre pezze de seda qual valeva cadauna diese ducati de arzento“. Venne scoperto mentre tentava di venderle; imprigionato ed avendo confessato il furto, il podestà Alvise Bembo lo condannava a due anni di carcere nelle prigioni “della Stretta” che sorgevano accanto al palazzo comunale e a cento lire di multa.

Per lo sciagurate pellicciaio era ormai la rovina, ma “el so dimonio lo volse rovinar dil tutto fassendoli venir un diabolico pensier per fuzir di preson“.

Il 21 settembre 1463, quattro mesi dopo la condanna, “a la terza hora de nocte in la preson di la Stretta fo gran fugo“. Nella confusione del primo allarme, Giovanni Francesco, unico detenuto in quel momento, riuscì a fuggire, mentre per mancanza di soccorsi, narrano gli Annali dello Zambaldi, “andarono arse con la Loggia Superiore la Cancelleria, le scritture del Comune et gli atti de li antichi motai“.

Si scoperse subito che l’incendio doveva esser stato doloso poiché a testimonianza di alcuni, le prime fiamme erano partite dalla prigione del pellicciaio e quando egli venne arrestato a Caorle, dopo tre giorni dalla fuga e mandato a Venezia, dinanzi al segretario del Consiglio dei Dieci, nella camera della tortura, confessò la sua colpa. Fu condannato alla pena capitale con l’ordine che l’esecuzione avvenisse a Portogruaro.

Nella notte del 26 settembre una barca del Consiglio dei Dieci conduceva a Caorle Giovanni Francesco e su per il fiume Lemene raggiungeva nella prima ora del mattino la città di Portogruaro. Il prigioniero venne subito consegnato al podestà con la sentenza del Consiglio, e nel pomeriggio di quello stesso giorno egli fu “appiccato in capo alla piazza verso la Stretta et poi staccato il suo corpo et messo il cartello d’infamia fu appeso alle forche del ponte di Nogaredo“.

Così finiva la sua vita Giovanni Francesco e fu questa la prima sentenza capitale eseguita a Portogruaro sotto il dominio del Leon di San Marco. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 6 gennaio 1929

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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