Un nobile onesto, sier Jacopo Loredan, da San Pantalon

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Palazzo Signolo Loredan a San Pantalon - Sestiere di Dorsoduro

Un nobile onesto, sier Jacopo Loredan, da San Pantalon

Non la storia, ma i romanzi narrano, che i “due Foscari” furono vittime innocenti di vendette e rancori privati, e tra i patrizi accaniti contro i Foscari è descritta, sempre nei romanzi, la figura losca di sier Jacopo Loredan, quello di cui si affermò da narratori fantastici che scrivesse nel suo libro di commercio ad una ipotetica partita dei Foscari le parole vendicative: “L’ha pagata“, quando il figlio del doge moriva e il doge stesso veniva destituito.

La gloriosa storia di Venezia ebbe larga messe di calunniatori e corsero per la penisola e per l’Europa fiabe in prosa da romanzo e in versi da melodramma specialmente su alcuni nomi, resi ormai popolari, che riassumono per così dire, le persecuzioni occulte, i tragici odi e i più tragici amori della misteriosa città.

Così Jacopo Loredan, che visse tra il 1395 e il 1470 nella contrada di San Pantalon in una “casa da statio driedo la chiesa“, fu dipinto delle foscariane vicende dai soliti incoscienti detrattori, come uomo tenebroso, crudele, vendicativo, mentre era uno dei più colti, onesti e coscienziosi patrizi della Dominante, un rigoroso osservatore delle leggi sullo stampo catoniano dell’antica Roma.

La carriera politica del patrizio era stata delle più belle: senatore a trantadue anni, savio agli ordini, podestà di Padova, capo del Consiglio dei Dieci, eletto per ben quattro volte capitano generale della flotta veneta, nominato poi procuratore di San Marco, da tutti benvoluto e stimato per la sua bontà, il suo ingegno e la sua onoratezza.

Egli quale capo del Consiglio dei Dieci fu destinato, come il più eloquente e persuasivo parlatore a rimettere al vecchio doge Francesco Foscari l’atto di rinuncia al dogado compilato dal Consiglio stesso con l’intervento della “Zonta” dei soliti ventinove patrizi. La cronaca di sier Zorzi Dolfin, parente del doge e non sospetto di partigianeria, narra che sier Loredan, presentandogli l’angoscioso documento, confortò il vecchio dicendogli non derivare la sua destituzione se non dalla grave vecchiaia e dalla infermità che da due anni lo tormentava “et cussì digando domandava perdon per quella triste ambascieria“.

Qual capitano generale della flotta nel 1464, per la sua energia, ebbe ragione sui famosi Cavalieri di Rodi: tornavano tre galere mercantili veneziane comandate da Andrea Contarini il bello, Antonio Vetturi e Francesco Querini il gobbo, da Alessandria cariche di Mori e di merci, quando da un violento fortunale furono costrette ad appoggiare nel porto di Rodi. I Rodiani misero le navi a ruba facendo prigionieri i Mori, e la Repubblica, quando lo seppe, incaricò il Loredan di esigere l’immediata restituzione delle persone e delle merci minacciando l’isola di punizione.

E sier Jacopo sbarcò tre suoi ufficiali con questa intimazione: “Nui Jacopo Loredan per l’illustrissima Signoria di Venetia capitan zeneral del mar domandemo al Reverendissimo Gran Maestro che debba rilassar in termini di tre hore prossime, come questo oriol se numererà, tutti li Mori presi et retenuti et restituir tutti li beni de’ Venetiani et integralmente satisfar a ogni danno che havessero patido“. E passate le tre ore, temporeggiando i Rodiani, il Loredan cominciò a sbarcar la sua gente con l’ordine di devastare l’isola e il Gran Maestro vedendo che non invano si minacciava obbedì subito all’intimazione.

Per servire la patria sier Jacopo Loredan aveva trascurato i suoi affari, onesto fino allo scrupolo dai suoi servigi ebbe onori ma non mai il più piccolo guadagno e quando il 30 ottobre 1470 venne a morte la cronaca Malipiero informa: “sier Jacopo Loredan è morto et è morto in povertà che, se bene l’è stà quattro volte capitan general et che l’habbia habù tanti offici, con fatiga se ha trova de sepelirlo: e quando chel so corpo l’è stà portà per san Marco al ponte de le Legne in la Terra Nova, era in piaza più de diesemila persone et tutti i mazori homeni di la Terra (della città) che predicava la soa bontà et el so anemo grando et tutti benediceva l’anema sua“.

Diecimila persone tra patrizi e cittadini seguivano la bara dell’uomo onesto, pochi preti e pochi frati poiché mancavano i denari, nessuna Scuola, ma la grande folla che lo accompagnò al sepolcro attestava la grandezza, la bontà, l’onestà perfetta di quel vero figlio della gloriosa Repubblica. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 9 ottobre 1930

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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