L’ultimo giorno di carnevale: “Siore maschere, zozo la maschera!”

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Gabriel Bella. "Feste che si sogliono fare in città della caccia del toro, ammazzare la gatta con il capo raso, pigliar l'anatra pigliar l'oca nell'acqua". Fondazione Querini Stampalia

L’ultimo giorno di carnevale: “Siore maschere, zozo la maschera!”

Nell’ultimo giorno di carnevale i campi famosi per le feste erano tre, Campo San Polo, Santa Margherita e Santo Stefano, e si davano corride di tori, giostre, lotte e corse di cavalli, ma in tutte le strade ed in tutti i campi c’era baldoria che finiva poi come l’acqua di un fiume nel mare di Piazza San Marco. Era permesso in quel giorno di girare per la città coi tori e di far “molate” cioè sguinzagliare i cani contro i tori, dovunque piacesse a chi conduceva il toro legato per le corna. Essendo però accaduto qualche volta che l’animale scappasse o si rompesse la corda con pericolo e spavento della gente nelle anguste strade veneziane, il Consiglio dei Dieci proibì a mezzo del settecento la pericolosa consuetudine.

Così la caccia si limitava nei tre campi, ma negli altri c’erano i giochi “de pigliar l’oca nell’acqua, pigliar le anare, amazzar la gatta, ed il ziogo del calzo (calcio) per i soli zentil’huomini“.

A Santo Stefano, dopo la caccia, c’era il “liston” delle maschere “di ogni qualità di persone fino a quasi una hora di notte“, e si chiamava “liston” da una gran lista lastricata che attraversava il campo, ancora nelle altre parti ricoperto dall’erba.

Un pandemonio di grida, di allegria, di suoni era alla sera a San Marco; la matta agonia carnevalesca prorompeva sfacciata, mentre il campanone, due ore prima di mezzanotte, cominciava a suonare. Il pulpito di legno, sul quale era costume fin dal 1502 predicare al popolo due volte la settimana e che stava presso la chiesa di San Geminiano, era preso d’assalto e tirato in giro sulle sue ruote per lungo e per largo, con getto continuo di frutta, di dolci, di confetti.

Il campanone suonava, a mezzanotte dalla loggetta del Sansovino partiva un’ammonimento: “Siore maschere zozo la maschera!” e l’ordine si ripeteva lungo la Piazzetta, la Piazza e le Procuratie, e la folla gaia e spensierata riempiva allora i caffè, i magazzini da vino, le trattorie dove, racconta il Dotti, poeta satirico:

S’aspettava la mattina
Per il solito “Memento”
Nella chiesa più vicina,
E fra maschere, aspettando,
si facea del contrabbando. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 24 febbraio 1925.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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