Quelle signore in giallo del “castelletto” di San Matteo a Rialto

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Fondamenta Tragheto del Buso - Sestiere di San Marco

Quelle signore in giallo del “castelletto” di San Matteo a Rialto

Il decreto era del Consiglio dei Dieci e risaliva al 1490. Esso fra l’altro testualmente ordinava: le meretrici e ruffiani, che siano in questa città, debino portar abito de color zallo azicché da tuti possino essere cognosciuti. Questo per il vestito; per la dimora poi fin dal 1360 erano state confinate in un gruppo di case in parrocchia di San Matteo a Rialto, chiamato il “Castelletto“, e colà si richiudevano ogni sera alla terza campana di San Marco, sotto la sorveglianza dei birri. Ma più che all’abito giallo, che fin dei conti non era che una bandiera di casta, quelle signore si ribellavano sempre alla dimora fissa e quando potevano fuggire in dispetto della legge erano tutte contente e i giovani patrizi tenevano loro molto spesso bordone, che fino al “Castelletto” la passeggiata era lunga, noiosa e spiacevole.

La Serenissima dapprima procedeva sovente a qualche rastrellamento, e la gialla comitiva veniva raccolta nella calle del “Fontego dei Tedeschi” e dal vicino traghetto, sbarcata a Rialto, era condotta alle stabilite dimore. Per tale frequente passaggio il traghetto fu chiamato dal popolo, in senso osceno, “traghetto del buso“, ed il padre Coronelli nella sua pianta di Venezia, pubblicata nel 1697, dice che lo chiamavano anche “traghetto dei ruffiani” a disdoro dei barcaroli che si prestavano a traghettare le allegre brigate.

Però verso il 1560, pur rimanendo il “Castelletto” come suburra “ad usum populare“, le signore in giallo più belle e più ricche si sparsero per tutta la città e le troviamo a San Luca in Calle del Carbon, a San Fantin, a San Moisè, a San Giuliano, a San Samuele, ai Santi Filippo e Giacomo.

Molte di esse ci furono tramandate dai cronisti del tempo, e così sappiamo di certa Maria Scorzupi, meretrice in Calle del Carbon, nella cui casa morì un Daniele Soranzo da indigestione di coradella “castrati ad suffritum“; di Anzola Trevisan dei Santi Apostoli che scoprì e rivelò un complotto di Pantalon Barbo contro Francesco Carrara signore di Padova; di Maria Alberti di San Luca uccisa e derubata da certo Domenico Rossi garzone di farmacia; di Giulia Lombardo detta la somptuosa, e che servì al Tiziano per modello di parecchi suoi quadri; di Angela Gaggiola trucidata in Calle delle Locande a San Paterniano per gelosia, ed infine di Veronica Franco di Santa Maria Formosa, celebre per bellezza, per meretricio e per valore poetico ed amante di Enrico III re di Francia quando venne a Venezia nel 1574. In un opuscolo rarissimo stampato nel VXI secolo dal titolo: “Catalogo di tutte le principali cortigiane di Venezia“, con accanto ad ognun di esse il prezzo di tariffa, si legge: “Ver. Franco a Santa Mar. Formo. Scudi due.”

Nel 1744 Gian Giacomo Rousseau era a Venezia, segretario all’Ambasciata di Francia, e spinto dagli amici, una sera va in casa di una certa Giulietta di San Moisè, vero capolavoro, come egli stesso dice, della natura e dell’amore, perfetta nella mente, nel corpo e nella grazia. Nella alcova tutta seta e raso, il filosofo s’accorge che sul seno di Giulietta c’è una piccola imperfezione; stupidamente glielo dice; lei ride e scherza e nel suo brio folleggiante, disse e fece cose da farlo andare in estasi. Ma poi parve assorto nelle sue meditazioni, Giulietta allora diventa seria, lo guarda, si ricompone e fredda, sdegnosa, sprezzante gli dice: “Zaneto, lassa star le done e studia la matematica!“. La frase di Giulietta corse tutta Venezia e si rise molto alle spalle del filosofo. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 11 agosto 1923.

Fondamenta Tragheto del Buso

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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