La lapide in memoria di Agostino Stefani, ucciso erroneamente dai veneziani il 30 maggio 1849, in prossimità del Ponte Ferroviario
Sgombrata Marghera si ridussero i Veneti, a metà del ponte ferrato, appena le truppe reduci dai forti abbandonati ebbero varcato il ponte, vennero poste in gioco le mine per distruggerne una parte e togliere le comunicazioni con la terraferma; ma vuoi imperizia di minatori od effetto del caso, ora avvenne che invece di crollare le arcate più prossime al lido, rovinarono 19 altre intermedie, in modo che il nemico occupando subito tutto il tratto del ponte rimasto in piedi, e che era lungo 400 metri, poté di tanto accostare le sue artiglierie alla città.
In queste circostanze ebbe luogo il fatto ricordato dalla targa posta sul muro esterno della Chiesa di Santa Maria di Nazareth vulgo degli Scalzi.
Era il dì 30 maggio (1849) quando Agostino Stefani, povero mastro-muratore, si offriva ad Enrico Cosenz, comandante la batteria di Sant’Antonio (era la batteria sul ponte, un po’ più avanti dell’Isola di San Secondo), di andar ad accendere in grande prossimità delle guardie nemiche una mina destinata a far saltare alcuni archi; ottenuto il congedo, partiva il buon Stefani in umile schifo (tipo di barca) coll’occorrente per comunicare il fuoco, ma notato il rischio, rivoltosi a Cosenz e dettogli: l’opera è ardita, potei rimanervi, gli dava poscia il nome acciò, in caso di sinistro, la patria sovvenir potesse alla moglie ed ai figli che per esse egli abbandonava; ma scoperto dagli Austriaci il debole palischermo e fatto segno ai loro colpi, percosso da granata già sta per affondare; Stefani allora, vedendo di non poter adempiere al mandato, tenta riguadagnare la riva amica colla sdruscita navicella; quando scambiato da alcuni popolani ignari del forte suo proposito, e preso per spia nemica, appena approda è circondato: le materie accendibili, invece di scolparlo, lo accusano; egli ha un bel dire di essere stato mandato da un ufficiale di cui ignora il nome; la plebe furibonda lo assale, e prima che Cosenz informato della cosa possa giungere a suo riscatto e dar premio alla sua buona intenzione, egli viene invece da quella infuriata plebe posto a morte a sassate. Spirava adunque il povero Stefani gridandosi innocente ed italiano, ed i suoi concittadini addolorati per funesto ed avverato caso, non sapendo come meglio riparare all’involontario omicidio, a suggestione del virtuoso Tommaseo adottar facevano dalla patria la sua famiglia ed a lui decretavano lapide che ricordasse il fatale errore e la sua virtù, dolorosa storia che dimostra come anche per i motivi più sacrosanti la plebe mai trascorrer debba ad atto arbitrario contro i colpevoli, ma lasciare la cura ai tribunali. (1)
Testo inciso nella targa:
IL NOME DI AGOSTINO STEFANI MURATORE
DA BUDOIA NEL FRIULI
MESSO A MORTE DAI NOSTRI
PER INGIUSTO SOSPETTO DI TRADIMENTO
QUANDO OFFRIVA SPONTANEO LA VITA
MOVENDO AL CAMPO NEMICO PER DAR FUOCO A UNA MINA
VENEZIA REDENTA
TRAMANDA AI POSTERI CON LE BENEDIZIONI
CHE SULL’UMILE EROE
L’ASSEMBLEA DEL 1849 INVOCAVA
22 MARZO 1898
(1) FERDINANDO A. PINELLI. Storia militare del Piemonte. Epoca terza dal 1831 al 1850 (Torino 1855)
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